Il paziente acromegalico anziano: aspetti clinici, diagnostici e terapeutici
L’acromegalia è una sindrome clinica rara (0,2-1,1 casi ogni 100.000 abitanti/anno) determinata da un’ipersecrezione di ormone della crescita (GH), dovuta perlopiù ad un adenoma ipofisario GH-secernente, e al conseguente aumento dei livelli di fattore di crescita insulino-simile di tipo 1 (IGF-1) (1,2). L’esposizione cronica dell’organismo all’eccesso di GH ed IGF-1 comporta lo sviluppo di numerose comorbidità a livello sistemico (cardiovascolari, oncologiche, respiratorie, gastro-intestinali, osteoarticolari, metaboliche) ad andamento progressivo e talora irreversibili in mancanza di un adeguato controllo/remissione della patologia acromegalica (3).
I recenti progressi relativi alla gestione e al trattamento dell’acromegalia hanno consentito di garantire un numero sempre maggiore di pazienti guariti o in buon controllo di malattia, con conseguente aumento della sopravvivenza e miglioramento della qualità di vita. Allo stesso tempo, il perfezionamento delle metodiche diagnostiche ha comportato un aumento del numero di nuove diagnosi anche tra i soggetti più anziani considerato il parallelo miglioramento dell’aspettativa di vita della popolazione generale (4). è previsto, pertanto, un aumento della popolazione acromegalica anziana. Recenti studi di popolazione americani evidenziano, infatti, un incremento di prevalenza della patologia acromegalica nelle fasce di età più anziane (11,5-15,2 casi per 100.000 abitanti per età 55-64 anni; 14,8-18,2 per 100.000 abitanti per età >65 anni), rispetto alla prevalenza complessiva sull’intera popolazione (7,10-15,2 casi per 100.000 abitanti) (5,6). Tale andamento è stato confermato anche nella popolazione acromegalica italiana (7,8), parallelamente ad un tasso di incidenza che aumenta con l’età (8,9). L’aumentata aspettativa di vita ha determinato, inoltre, un cambiamento nell’epidemiologia delle cause di decesso dei pazienti acromegalici, che sempre di più si allineano a quelle della popolazione generale (maggior prevalenza di decesso per causa oncologica rispetto a malattia cardiovascolare) (10,11).
Nella gestione del paziente acromegalico anziano, dalla diagnosi al trattamento, occorre considerare:
- a fisiopatologia dell’asse GH/IGF-1 nelle diverse fasce d’età;
- il fenotipo più lieve e sfumato, dove i caratteristici segni somatici dell’acromegalia si sovrappongono ai segni dell’invecchiamento;
- la presenza di quadri clinici complessi dovuti al possibile sovrapporsi tra comorbidità legate all’acromegalia e all’invecchiamento;
- la possibile persistenza di complicanze “irreversibili” dell’acromegalia anche nei pazienti guariti;
- le differenti risposte alle diverse tipologie di trattamento;
- la qualità di vita e di invecchiamento.
La secrezione di GH, e conseguentemente di IGF-1, dopo aver raggiunto il picco durante l’adolescenza, subisce un progressivo declino (circa del 14% per ogni decade) raggiungendo i livelli minimi dopo i 60 anni di età. Alla base di tale processo concorrono: 1) la riduzione del tono secretorio di GHRH/grelina e della risposta ipofisaria alla stimolazione; 2) l’aumento del tono somatoninergico. Anche in condizioni di ipersecrezione autonoma di GH, come nell’acromegalia, questo progressivo declino dei livelli di GH e IGF-1 sembra essere preservato (12).
Diversi studi hanno, infatti, confermato una relazione inversa tra età e livelli di GH basali/nadir dopo curva da carico orale di glucosio (OGTT), tanto da portare all’identificazione di valori soglia di GH più bassi nei pazienti >60 anni (GH basale <1,4 mcg/l e GH nadir dopo OGTT <0,5 mcg/l) (13).
Nel paziente anziano potrebbe non essere possibile eseguire una OGTT a scopo diagnostico o per monitoraggio di malattia, a causa della frequente presenza di diabete mellito. In tale caso, è possibile sottoporre il paziente a prelievi seriati di GH (14).
I più bassi livelli di GH riscontrati nel paziente acromegalico anziano potrebbero essere riconducibili anche ad una maggior prevalenza di adenomi più piccoli, meno aggressivi e prevalentemente inclusi nel cavo sellare (15). Anche nel paziente anziano, la metodica di imaging radiologico di riferimento è la risonanza magnetica con gadolinio, benché occorra valutare con attenzione il rischio di insufficienza renale, alla luce della maggior frequenza di comorbidità renali nei pazienti anziani (4,16).
Adenomi ipofisari più piccoli e inclusi associati a più bassi livelli di GH e IGF-1 si traducono spesso in un fenotipo clinico meno aggressivo, tanto da essere misconosciuto e attribuito al normale processo di invecchiamento (12).
Di conseguenza, la diagnosi può essere ulteriormente ritardata rispetto ai soggetti più giovani (17). I dati provenienti da serie chirurgiche riportano una prevalenza di sintomi da effetto massa alla diagnosi variabile dal 50 al 60% dei casi.
Tra questi, l’ipopituitarismo sembra meno frequente rispetto alla popolazione più giovane, probabilmente a causa della presenza di adenomi più piccoli (12).
Alla diagnosi, il paziente acromegalico anziano mostra, inoltre, i tipici segni dell’acromegalia (ingrandimento acrale, macroglossia, iperidrosi, artralgie, bozze frontali) (18,19) che tuttavia presentano un esordio generalmente più lento e subdolo (12), sovrapponendosi ai tratti somatici più grossolani dell’età senile. L’acromegalia, inoltre, si associa a comorbidità molto frequenti anche in età geriatrica tra i soggetti non acromegalici.
Lo studio di una coorte di 57 pazienti con recente diagnosi di acromegalia ed età >60 anni ha evidenziato la presenza di ipertensione arteriosa, alterazione del metabolismo glucidico, complicanze articolari, gozzo tiroideo (20).
Nel paziente acromegalico, l’età sembra rappresentare un fattore di rischio aggiuntivo per lo sviluppo delle seguenti complicanze: alterazioni del metabolismo glucidico, ipertensione arteriosa, cardiomiopatia ipertrofica, neoplasie, sindrome delle apnee notturne. Nel paziente acromegalico anziano, pertanto, la gestione delle comorbidità può risultare più complessa poiché esse non sono esclusivamente secondarie all’ipersecrezione di GH e IGF-1 e quindi non gestibili con il solo controllo della patologia acromegalica. Inoltre, anche nel paziente anziano guarito possono persistere le complicanze irreversibili della pregressa patologia acromegalica (ad es., cardiomiopatia ipertrofica) (4,12,15). Infine, l’acromegalia potrebbe accentuare e aggravare le funzioni cognitive, motorie, e psicologiche con impatto negativo sulla qualità di vita e di invecchiamento (21).
Le opzioni terapeutiche per la gestione dell’acromegalia nell’anziano sono le medesime dei pazienti più giovani, inclusa la chirurgia trans-naso-sfenoidale (TNS) come prima linea di trattamento (22).
La Tabella 1 riassume le principali evidenze disponibili ad oggi in letteratura in merito all’utilizzo delle diverse linee di trattamento per il paziente acromegalico anziano.
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