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La gestione neurochirurgica dell’acromegalia


Introduzione

L’acromegalia è una rara condizione patologica caratterizzata da un’elevata produzione dell’ormone della crescita (Growth Hormone-GH o somatotropina) e, di conseguenza, del fattore di crescita insulino simile 1 (IGF-1), secreto principalmente dal fegato in risposta al GH. Nella grande maggioranza dei casi la causa risiede in un adenoma ipofisario. Molto rare sono le cause ectopiche di produzione di GH così come di lesioni ipotalamiche producenti l’ormone di rilascio della somatotropina (Growth Hormone Releasing Hormone-GHRH). L’ormone della crescita è prodotto dal lobo anteriore dell’ipofisi ed ha il compito di stimolare lo sviluppo di ossa, muscoli e di molti organi interni. Una quantità eccessiva di ormone della crescita, pertanto, porta a una crescita anomala e voluminosa di tutti questi tessuti (1-3).

L’intervento chirurgico per l’adenoma ipofisario è il trattamento di elezione per l’acromegalia ed è quello che permette di ottenere il migliore outcome sui sintomi, sulle comorbidità e sulla qualità di vita del paziente (1-3).

Ai giorni nostri la mortalità associata all’acromegalia è ancora molto elevata, sia a causa delle gravi comorbidità che spesso accompagnano la malattia di base, sia per il ritardo nella diagnosi (1-3). La diagnosi dell’acromegalia avviene tardivamente a causa delle manifestazioni cliniche insidiose e per la presenza di pochi centri specializzati dotati di un team multidisciplinare, quando ormai i pazienti hanno sintomi gravi e quando la lesione ipofisaria raggiunge dimensioni >1 cm (macroadenomi) (1-3). È molto importante aumentare la consapevolezza su questa condizione all’interno della comunità medico-scientifica per una più precoce diagnosi ed un adeguato trattamento che possa ridurre le complicanze a lungo termine della patologia, migliorare la prognosi dei pazienti e ridurre i costi del sistema sanitario (1-3).

Epidemiologia

Dal punto di vista epidemiologico l’acromegalia presenta una prevalenza di 5.9 ogni 100000 persone ed una incidenza di 0.38 ogni 100000 persone all’anno (1). Non c’è una chiara prevalenza di un sesso rispetto all’altro. Questi dati epidemiologici sono aumentati negli ultimi anni ma ciò è probabilmente da attribuirsi ad una maggiore conoscenza delle malattie ipofisarie e all’avanzare dei moderni strumenti diagnostici. La diagnosi normalmente avviene nella 5° decade di età [media di 47.3 anni (2)]. Una manifestazione di acromegalia in un’età più precoce è un’entità rara e vanno prese in considerazione cause di tipo genetico (3).

Presentazione clinica e ritardo diagnostico

L’eccessiva produzione di ormone della crescita, se avviene durante l’infanzia, può portare ad una condizione di gigantismo, mentre nell’adulto, dove è già terminato il processo di sviluppo delle cartilagini di coniugazione, porta ad una eccessiva crescita di ossa ed organi, nonché ad alterazioni del metabolismo dei lipidi e dei glucidi (2,4). I segni ed i sintomi dell’acromegalia consistono in accrescimento acrale, che porta a mani e piedi di dimensioni aumentate, caratteristiche facciali tipiche (fronte e guance prominenti, naso grande, labbra ingrossate, prognatismo, aumentato spazio tra i denti e macroglossia) ed organomegalia. Ci possono essere anche cefalea, aumento della sudorazione, artralgia, ispessimento cutaneo. Numerose sono le comorbidità che si possono riscontrare al momento della diagnosi: ipertensione (48%), diabete mellito tipo 2 (13%), intolleranza glucidica (19%), scompenso cardiaco (10%) e cardiopatia coronarica (8%) (3). Altre manifestazioni associate possono essere la sindrome delle apnee ostruttive del sonno (OSAS), sindrome del tunnel carpale, e aumento di incidenza di polipi intestinali e cancro del colon-retto (4). Bisogna tenere in conto anche dei sintomi dovuti alla compressione delle strutture nervose adiacenti da parte dell’adenoma: disturbi campimetrici visivi e ipopituitarismo o altre disfunzioni endocrine (3-4).

Il tempo che decorre dall’insorgenza dei sintomi fino al momento della diagnosi è ancora molto elevata, con una media di 4.5-5 anni. Ciò è dovuto prevalentemente all’insidiosità dei sintomi (3).

Al momento della diagnosi la maggior parte dei casi presenta un macroadenoma (più di 2/3 dei casi) (3). La mortalità aumentata legata all’acromegalia è del 32% in comparazione alla popolazione generale, questo dato è inversamente proporzionale all’uso di farmaci analoghi della somatostatina e dei livelli di GH e IGF-1 dopo trattamento chirurgico (5).

Diagnosi

Va presa in considerazione la diagnosi di acromegalia nei pazienti con ingrossamento acrale o caratteristiche facciali tipiche, nonché nei pazienti che presentano una associazione dei precedentemente menzionati segni e sintomi (cefalee frequenti, perspiratio eccessiva, ipertensione, OSAS, diabete mellito).

L’esame di prima scelta è il dosaggio dell’IGF-1 sierico, è raccomandato ripetere il dosaggio se il valore è borderline. L’intervallo di riferimento dovrebbe essere corretto per il sesso e per gruppi di età, poiché i livelli di IGF-1 diminuiscono con l’avanzare dell’età. Inoltre bisogna tenere a mente le situazioni in cui IGF-1 può essere fisiologicamente elevato: l’adolescenza e la gravidanza. Misurazioni del GH sierico in genere non sono utilizzati tanto per la diagnosi di acromegalia quanto per il monitoraggio dell’ outcome della terapia chirurgica e medica (6).

Se gli esami ormonali sierici sono suggestivi per acromegalia, il paziente deve essere sottoposto ad una risonanza magnetica (RM) dell’encefalo per identificare l’adenoma ipofisario. In caso sia controindicata la RM è indicato eseguire una tomografia computerizzata (TC) encefalo a strato sottile con studio della regione sellare.

Opzioni terapeutiche

L’obiettivo principale del trattamento è la riduzione dei livelli di GH o, per lo meno, quelli di IGF-1 in modo da poter ridurre l’effetto massa dell’adenoma, i sintomi tipici dell’acromegalia e le sue comorbidità. Il tutto è finalizzato alla riduzione dell’elevata mortalità associata all’acromegalia (5).

Le opzioni terapeutiche comprendono la chirurgia dell’ipofisi, la terapia medica e la radioterapia (5).

Il trattamento di prima scelta è l’exeresi chirurgica dell’adenoma, mentre la terapia farmacologica e la radioterapia rappresentano opzioni di seconda e terza linea e sono riservate ai pazienti che non presentano una buona remissione ormonale e clinica post-chirurgica (5).

Affinchè il paziente sia sottoposto ad un corretto inquadramento diagnostico e ad un piano terapeutico adatto e personalizzato, è necessario che venga valutato da un team multidisciplinare coinvolgente, non solo endocrinologo e neurochirurgo esperti in malattia ipofisaria, ma anche neuroradiologo, neuropatologo, radioterapista/oncologo e otorinolaringoiatra/chirurgo maxilllo-facciale (7). L’otorinolaringoiatra, esperto in chirurgia endoscopica dei seni, fornisce una competenza cruciale nel navigare l’anatomia normale e anormale dei seni durante la procedura, mentre il neurochirurgo addestrato in chirurgia ipofisaria porta il know-how per resecare in sicurezza i tumori ipofisari nell’ambito dell’intima e complessa anatomia “invisibile” che circonda la sella (7).

Il trattamento chirurgico dell’acromegalia verrà discusso ampiamente più avanti. Per quanto riguarda il trattamento medico, si utilizza come prima scelta solamente nei pazienti che non sono candidabili alla chirurgia: rifiuto da parte del paziente, plurime comorbidità o un adenoma che si estende per lo più verso i seni cavernosi o verso il clivus. Negli altri casi la terapia medica è utilizzata nei pazienti che non hanno raggiunto il target ormonale dopo l’intervento chirurgico (5).

Le classi farmacologiche utilizzate sono tre: analoghi della somatostatina (SRL), dopamino-agonisti, pegvisomant (principale analogo del GH). Gli SRL di prima generazione sono octreotide e lanreotide (anche nelle formulazioni a lento rilascio), mentre quelli di seconda generazione comprendono pasireotide. Questi farmaci sono in grado di legarsi alle diverse isoforme del recettore della somatostatina, inibendo la secrezione del GH e promuovendo l’apoptosi della cellula con effetti antiproliferativi. Gli SRL riescono a ottenere una normalizzazione dei livelli di GH e IGF-1 rispettivamente nel 54% e nel 55% dei pazienti. La cabergolina, un agonista selettivo della dopamina, è approvato per il trattamento dell’iperprolattinemia, ma è comunemente utilizzato nella pratica clinica nel trattamento dell’acromegalia. Raggiunge un controllo dei livelli di IGF-1 e GH (34% e 48%) minore rispetto agli SRL (5).

Infine, il pegvisomant è un analogo del GH che si lega ai recettori del GH agendo come antagonista, riesce a normalizzare i valori di IGF-1 nel 75% dei pazienti, però, per via del suo elevato costo, pegvisomant viene usato solo in caso di inefficacia della terapia con SRL (5). Fondamentale è anche la terapia medica delle diverse comorbidità associate all’acromegalia, che impattano in maniera significativa sulla qualità di vita del paziente e sulla mortalità. La radioterapia è riservata ai pazienti che non mostrano un’adeguata normalizzazione ormonale dopo un intervento chirurgico o che non tollerano la terapia medica, è considerato pertanto un trattamento di terza linea. Può essere somministrata mediante dosi frazionate o come radioterapia stereotassica mediante unica seduta. È una terapia che ottiene buoni risultati (normalizzazione dei livelli ormonali in più del 60% dei pazienti), ma dopo periodi di latenza di un paio di anni. Gli effetti collaterali più comuni sono l’ipopituitarismo, neuropatia ottica o di altri nervi cranici (5).

Il trattamento chirurgico*

Nel corso della storia della disciplina molte tecniche chirurgiche sono state utilizzate, ma negli ultimi anni gli approcci mini-invasivi mediante approccio transnasale endoscopico hanno determinato una notevole riduzione dei rischi e delle complicanze dell’intervento.

L’uso di tecniche endoscopiche in neurochirurgia non è nuovo: nei primi decenni del XX secolo, gli endoscopi erano già usati per avvicinarsi alle cavità ventricolari del cervello. Al fine di evitare il trauma chirurgico al tessuto cerebrale vitale, gli endoscopi sono stati usati, specialmente in combinazione con la stereotassi, per avvicinarsi alle lesioni cerebrali profonde.

Il recente sviluppo di nuove tecniche applicabili attraverso l’endoscopia ha determinato il suo moderno e attuale vasto impiego.

Il vantaggio dell’uso dell’endoscopio è evidente nella potenziale riduzione del trauma chirurgico generale, e specialmente nella riduzione del trauma al tessuto cerebrale sano lungo il percorso verso, e intorno a, una lesione profonda.

Per raggiungere tale obiettivo, gli endoscopi sono stati sviluppati per permettere l’uso del laser sotto un’irrigazione continua, l’uso degli ultrasuoni come strumento chirurgico e l’uso di una varietà sempre più ampia di microstrumenti. Con l’avvento delle nuove tecnologie utilizzate ormai nella maggior parte dei centri di Neurochirurgia, come l’endoscopia e la navigazione, la procedura chirurgica viene eseguita con ridotti tempi e con approcci poco invasivi.

Gli approcci endoscopici rappresentano, pertanto, la chirurgia di scelta per le lesioni tumorali intracraniche che coinvolgono la ghiandola pituitaria. La ghiandola pituitaria è un organo che si trova alla base del cervello al centro della base del cranio. L’approccio chirurgico endoscopico viene definito come transnasale, transfenoidale poiché, dopo aver sfruttato la via anatomica naturale del naso, l’accesso alla ghiandola avviene attraverso il sacrificio del seno sfenoidale. Il seno sfenoidale, contenuto nella parte centrale dell’osso sfenoide, è ampiamente considerato la porta d’accesso all’ipofisi, alla regione parasellare e alla base anteriore del cranio.

Si tratta, tuttavia, di una procedura complessa che deve essere eseguita da un team chirurgico esperto e con esperienza sulla patologia. L’intervento chirurgico transfenoidale, infatti, nei pazienti con acromegalia presenta diverse sfide intrinseche, poiché si tratta di un approccio minimamente invasivo in pazienti con caratteristiche strutturali del volto che sono generalmente ingrandite. Come risultato della malattia sistemica cronica, in questi casi si incontrano spesso potenziali ostacoli nella gestione anestetica, chirurgica e medica peri-operatoria (8,9).

Da un punto di vista anatomico, i numerosi cambiamenti patologici che coinvolgono l’edema dei tessuti molli, i polipi nasali e il rimodellamento osseo contribuiscono spesso alla complessità dell’operazione, poiché i corridoi di lavoro naturali sono tipicamente più ristretti e profondi che in altri pazienti (10).

*Dati derivanti dalla pratica clinica dell'Autore dell'articolo.

Procedura chirurgica*

La procedura viene eseguita in anestesia generale. La testa del paziente può essere posizionata su un ferro di cavallo o in un fissaggio rigido, leggermente estesa e girata leggermente a destra. Per facilitare il drenaggio venoso, la testa viene sollevata sopra il cuore. L’otorinolaringoiatra (o il chirurgo maxillo-facciale) e il neurochirurgo stanno ai lati del paziente durante la maggior parte della procedura. Sotto la vista endoscopica, vengono identificati i turbinati inferiori, medi e superiori. L’endoscopio viene fatto avanzare nella coane, che è delimitato dalla coda del turbinato inferiore lateralmente, il vomere medialmente, e il pavimento del seno sfenoidale superiormente. Dopo che i turbinati medi e superiori sono retratti lateralmente, si identifica l’ostio sfenoidale. Gli osti si trovano appena sopra il recesso sfenotimoideo, circa 1.5 cm sopra la coana. Occasionalmente, l’ostio è ostruito da un turbinato superiore, che può essere delicatamente retratto lateralmente o rimosso/lussato se necessario. La mucosa intorno all’ostio viene prima cauterizzata e poi allargata con una pinza Kerrison. Dopo il completamento della resezione sottomucosa del setto, il terzo posteriore del setto nasale adiacente al vomero e alla cresta mascellare viene rimosso. Attraverso la narice, quindi, si accede al pavimento della sella con un osteotomo o un trapano ad alta velocità, una curette e un rongeur. L’apertura ossea si estende generalmente da un seno cavernoso all’altro e dal tuberculum sellae al pavimento della sella. Un’apertura ampia facilita la massima resezione del tumore e l’avanzamento dell’endoscopio nella sella per l’ispezione alla fine della procedura. La dura viene aperta in modo incrociato sotto il seno intercavernoso per evitare emorragie durali. I foglietti durali possono essere cauterizzati con un bipolare o rimossi con delle micro forbici. È importante cercare di aprire la dura senza tagliare la ghiandola per trovare la pseudocapsula intorno all’adenoma. Occasionalmente, il contenuto cistico intrasellare può essere rilasciato in questo momento per decomprimere la ghiandola e facilitare la dissezione intorno alla capsula del tumore. In questa fase dell’operazione sondiamo attentamente la ghiandola con un dissettore diritto per determinare se c’è un piano intorno all’adenoma. Alcuni microadenomi possono essere rimossi in blocco con una dissezione delicata (8). Per i tumori che producono ormoni, la rimozione in blocco è utile, se possibile, perché una resezione completa è fondamentale. Per gli adenomi che non possono essere rimossi in blocco, usiamo una varietà di curette ad anello, strumenti di carotaggio e rondelle microipofisarie per rimuovere delicatamente il centro del tumore (*esperienza dell’autore).

I tumori compatti possono essere resecati con un aspiratore chirurgico a ultrasuoni Cavitron. Dopo la rimozione del tumore, viene intrapreso un attento esame per la perdita di liquor. Se non vi è traccia di perdita, un piccolo pezzo di Gelfoam viene posto nella cavità di resezione per l’emostasi e il pavimento della sella viene ricostruito con osso vomerico raccolto durante l’approccio.

*Dati derivanti dalla pratica clinica dell'Autore dell'articolo.

Outcome*

La resezione chirurgica dell’adenoma fornisce la massima speranza di guarigione ed è generalmente sicura con una morbilità accettabile.

I pazienti con una significativa ipertrofia ossea e cartilaginea e con narici piccole possono rappresentare una sfida maggiore per la manovra degli strumenti, ma di solito la via nasale permette quasi sempre un’adeguata esposizione chirurgica della sella e abbastanza spazio per rimuovere il tumore in modo sicuro. Un’adeguata esposizione della sella e delle strutture circostanti può essere garantita dal microscopio o dall’endoscopio, ma ci sono situazioni in cui comunque un intervento di chirurgia transcranica è indicata. I tassi di guarigione dell’acromegalia mediante chirurgia transfenoidale, definiti da un GH di <5 μg/L, variano dal 53 all’81% con un tasso medio di remissione del 76%. L’età, le dimensioni del tumore, il grado e i livelli preoperatori di GH sono fattori predittivi di remissione. Dei pazienti definiti in remissione, il 13% aveva tuttavia livelli elevati di IGF-1. Le dimensioni del tumore influenzano ovviamente la probabilità di remissione. La probabilità di remissione per i microadenomi è risultata tre volte superiore a quella dei macroadenomi (9).

I pazienti con acromegalia presentano disturbi endocrinologici di altra natura così come spesso presentano disturbi visivi. La maggior parte dei pazienti recupera un certo grado di funzione visiva dopo la chirurgia transfenoidale. Il recupero della funzione visiva dipende dal tempo di compressione del nervo ottico e dalla capacità di decomprimere adeguatamente i nervi nella sala operatoria. Poiché i pazienti con acromegalia hanno in gran parte anche altri sintomi, è più probabile che vengano riconosciuti in una fase precoce della loro malattia. Tuttavia, alcuni pazienti si presentano con una significativa compressione nervosa o apoplessia ipofisaria, che porta ad un deterioramento visivo acuto; dall’80 all’86% dei pazienti che si presentano alla chirurgia primaria per disturbi visivi dovuti a varie lesioni della sella in genere migliorano dopo l’intervento.

Molti medici sono tentati di allontanare questi pazienti dalla resezione chirurgica perché credono che non siano in grado di gestire lo stress della chirurgia. Tuttavia vengono riportati ottimi risultati chirurgici anche per i pazienti di età superiore ai 65 anni sottoposti a chirurgia per l’acromegalia. Non riportano alcuna significativa morbilità perioperatoria e nessuna mortalità. I risultati della resezione sono estremamente buoni. Poiché i pazienti possono sperimentare l’inversione degli effetti dell’acromegalia entro 6 mesi - 1 anno dopo un intervento riuscito, anche i pazienti anziani possono trarne beneficio. Questi pazienti possono sperimentare un miglioramento della loro funzione cardiaca, della tolleranza al glucosio e dell’ipertensione, il che può migliorare l’aspettativa di vita e la qualità della vita. Pertanto, molti pazienti anziani, nonostante l’acromegalia e le sue complicazioni, sono considerati candidati chirurgici accettabili (10).

*Dati derivanti dalla pratica clinica dell'Autore dell'articolo.

Conclusioni

L’attuale paradigma di trattamento dell’acromegalia prevede un approccio multidisciplinare. Spetta al Medico di base del paziente notare precocemente i segni e i sintomi della malattia e indirizzare il paziente alla cura definitiva (7). Il successo del trattamento è correlato ai livelli pre-trattamento di GH. Per ridurre il rischio di mortalità del paziente ai livelli di base, l’IGF-1 deve essere normalizzato e il livello di GH deve essere inferiore a 1 μg/L dopo un test di tolleranza al glucosio orale (5,7). La chirurgia offre la migliore opportunità di cura possibile. In mani esperte i tassi di guarigione, per i microadenomi, si avvicinano al 90%, mentre quelli con tumori più grandi o invasivi non vanno altrettanto bene (5-7). I pazienti che non hanno una completa normalizzazione del loro livello di IGF-1 dopo l’intervento dovrebbero essere considerati per un’ulteriore terapia o un nuovo intervento. Il reintervento può essere considerato, ma i tassi di guarigione sono significativamente più bassi rispetto al gruppo chirurgico primario (5-7). La terapia medica ha successo nell’abbassare i livelli di GH e IGF-1 e può essere impiegata sia in fase prechirurgica che postchirurgica, ma i suoi effetti sono sostenuti solo nel corso della somministrazione. La radioterapia, infine, è una buona opzione di trattamento per i pazienti con acromegalia non curata dopo l’intervento chirurgico. La cura è lenta a svilupparsi, ma più del 50% dei pazienti può raggiungere livelli di IGF-1 normalizzati in questo modo. Sia la radioterapia che la radiochirurgia stereotassica hanno, inoltre, rischi significativi di panipopituitarismo, che richiede una terapia ormonale più complessa (5-7,11).

Bibliografia
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