Uso degli analoghi del GnRH nella stimolazione ovarica per procreazione medicalmente assistita: pro e contro dei protocolli con agonisti ed antagonisti
Caratteristiche degli agonisti ed antagonisti del Gonadotropin Releasing Hormone (GnRH).
Le terapie di induzione dell’ovulazione finalizzate a tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) rappresentano un importante campo di impiego degli analoghi agonisti o antagonisti del GnRH. Il razionale è quello di bloccare la secrezione delle gonadotropine endogene e segnatamente dell’LH prevenendo così la possibilità di insorgenza di un picco intempestivo di questo ormone con conseguente ovulazione spontanea e cancellazione del ciclo di trattamento. Gli agonisti sono caratterizzati da poche sostituzioni aminoacidiche, solitamente nelle posizioni chiave 6 e 10, della struttura decapeptidica del GnRH; esse comportano un incremento di potenza e stabilità della molecola.
Dal punto di vista farmacologico, l’effetto degli agonisti è caratterizzato da una prima fase di superattivazione del recettore con conseguente aumento della secrezione gonadotropinica e transitoria stimolazione dei livelli di ormoni steroidei (che può prolungarsi fino a due settimane), cui fanno seguito la desensibilizzazione del recettore stesso ed il blocco della secrezione di gonadotropine. L’inibizione dell’LH e dell’FSH è quindi di tipo non competitivo e non superabile dalla somministrazione di GnRH nativo o dei suoi analoghi agonisti. Sono disponibili diverse formulazioni, a breve (giornaliera) o lunga durata d’azione (mensile o trimestrale, quest’ultima non utilizzata nell’induzione dell’ovulazione), riassunte nella tabella 1.
Gli antagonisti del GnRH sono caratterizzati da più profonde modifiche della struttura della molecola originaria del GnRH con multiple sostituzioni aminoacidiche a livello delle posizioni 1-3, 6 e 10. Essi si legano ai recettori ipofisari per il GnRH ma non determinano attivazione degli stessi; l’inibizione della secrezione gonadotropinica è quindi immediata (si manifesta con una latenza di alcune ore) e competitiva, quindi superabile dalla somministrazione di GnRH o analogo agonista. Le formulazioni di antagonisti del GnRH utilizzate nella PMA devono essere somministrate per via sottocutanea con frequenza giornaliera (Tabella 1).
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Modalità di impiego degli analoghi del GnRH nell’induzione dell’ovulazione
Il regime di agonisti del GnRH più frequentemente utilizzato è il cosiddetto protocollo lungo. La somministrazione dell’agonista del GnRH viene usualmente iniziata nella fase medio-luteale del ciclo precedente la stimolazione e protratta fino al momento della induzione della maturazione finale dell’ovocita (trigger).
La stimolazione ovarica comincia solitamente 7-14 giorni dopo l’inizio dell’agonista alla comparsa delle mestruazioni, ad avvenuta desensibilizzazione ipofisaria.
Sono stati proposti anche altri regimi, ad esempio il protocollo corto in cui la somministrazione dell’agonista viene cominciata contemporaneamente a quella delle gonadotropine al 2° giorno del ciclo mestruale (Figura 1).
Il razionale di questo approccio consiste nell’ipotetica sinergia che si verrebbe a creare fra l’aumento di gonadotropine endogene indotta dall’agonista e la somministrazione di FSH/hMG.
Sebbene il protocollo breve sia spesso utilizzato nelle pazienti in cui è provata o prevista una scarsa risposta ovarica, i risultati di questo tipo di regime di stimolazione sono spesso deludenti, sia in termini di ovociti recuperati che di tassi di gravidanza (1). È possibile che la ragione di tale fenomeno possa essere ricondotta ad una perturbazione dell’ambiente endocrino intrafollicolare con relativo aumento degli androgeni (2). Nei protocolli con antagonisti, la stimolazione ovarica ha solitamente inizio al 2° giorno di un ciclo mestruale spontaneo o dopo pretrattamento con estrogeni e/o progestinici; l’antagonista viene somministrato a partire dal 5°-6° giorno di terapia (protocollo fisso) oppure dal momento in cui si evidenzia almeno un follicolo con diametro medio di circa 14 mm (protocollo flessibile) e si protrae fino all’induzione della maturazione finale del follicolo/ovocita.
L’ottimizzazione dell’impiego degli analoghi del GnRH nell’induzione dell’ovulazione ha condotto a importanti evoluzioni nei protocolli clinici che possiamo riassumere nei termini seguenti:
1. riduzione della dose di GnRH agonista impiegata durante la stimolazione;
2. crescente diffusione dell’uso degli antagonisti e maggiore esperienza clinica con i medesimi;
3. personalizzazione del regime di desensibilizzazione ipofisaria nelle pazienti con scarsa risposta o al contrario in quelle a rischio di iperstimolazione ovarica;
4. maggiore comprensione dei vantaggi e limiti di ciascun regime terapeutico.
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Qual è la dose ottimale di agonista del GnRH ?
La formulazione depot degli agonisti possiede l’indubbio vantaggio di garantire un’adeguata e duratura soppressione ipofisaria con la semplicità di un’unica somministrazione. In effetti una singola dose di 3.75 mg di triptorelina iniettata per via intramuscolare determina un drastico calo dei livelli di LH circolanti, che si attestano su valori inferiori a 1 IU/L (3). La medesima posologia, per via sottocutanea, si è dimostrata altrettanto efficace con una inibizione ipofisaria ancora più spiccata e protratta nel tempo (3).
Fin dagli anni ‘90, tuttavia, è stato ipotizzato che un effetto così marcato potesse rallentare lo sviluppo follicolare durante la stimolazione ed accrescere il consumo di gonadotropine (4); conseguentemente sono stati proposti protocolli volti a diminuire la dose di GnRH agonista impiegata con l’intento di ridurre il grado di inibizione ipofisaria prevenendo con la stessa efficacia il picco intempestivo dell’LH e l’ovulazione spontanea. Sostanzialmente, gli approcci possibili al riguardo sono due:
1. usare formulazioni giornaliere in luogo di quelle depot;
2. impiegare una formulazione depot dimezzando il dosaggio del farmaco iniettato (1.87 mg in luogo di 3.75 mg di leuprorelina o triptorelina).
Le formulazioni giornaliere, somministrabili sia per via sottocutanea che intra-nasale (sebbene l’assorbimento del farmaco in quest’ultima modalità sia minimo (ca. 3%), possa presentare una certa variabilità e siano richieste più dosi nelle 24 ore) sono associate ad un profilo farmacologico caratterizzato da più elevati livelli circolanti di LH rispetto a quelli osservabili dopo il depot (5), epifenomeno questo di un minor grado di soppressione dell’ipofisi. Per di più, poiché la quantità di agonista necessaria a mantenere l’inibizione ipofisaria si riduce con il protrarsi della terapia, sono stati proposti e sono comunemente impiegati protocolli nei quali la dose giornaliera di agonista viene ridotta ad avvenuta desensibilizzazione, in concomitanza con l’inizio della stimolazione ovarica. Così, ad esempio, si può iniziare il pretrattamento con 100 µg di triptorelina/die per poi proseguire con 50 µg/die del medesimo farmaco (6).
Un analogo schema posologico bifasico è utilizzabile anche con gli altri agonisti (le dosi sono riportate in Tabella 1). In alternativa, come sopra detto, è possibile utilizzare la formulazione depot e diminuire la dose di agonista somministrato. È stato dimostrato che una dose di 1.87 mg di triptorelina ha la stessa efficacia della dose standard (3.75 mg) in termini di prevenzione del picco dell’LH e dell’ovulazione spontanea (7).
Dal punto di vista clinico, l’evidenza più rilevante di questa linea investigativa è rappresentata dal dato della significativa riduzione della dose di gonadotropine impiegate e della durata della stimolazione osservabile sia nel confronto agonista giornaliero vs depot 3.75 mg sia nel paragone depot 1.88 mg vs depot 3.75 mg. I risultati in termini di percentuale di gravidanza e tasso d’impianto, invece, non variano significativamente (6-9).
Il meccanismo alla base di tale effetto coinvolge sicuramente i livelli di LH circolanti. È stato dimostrato che in condizioni di profonda soppressione dell’LH endogeno la steroidogenesi ovarica è compromessa e ciò si traduce in un aumento della dose di gonadotropina e del tempo necessari a conseguire una stimolazione adeguata, soprattutto quando vengono utilizzate gonadotropine prive di attività LH. L’aggiunta di attività LH è infatti in grado di correggere almeno in parte tali dinamiche, come dimostrato in un nostro lavoro (10), in cui veniva confrontata in un protocollo di induzione dell’ovulazione per inseminazione intrauterina l’efficacia di una dose fissa di 150 IU di HP-FSH o hMG. Tutte le pazienti erano state soppresse con 3.75 mg di triptorelina nella fase medio-luteale del ciclo precedente il trattamento e presentavano quindi una marcata riduzione dei livelli di LH. La stimolazione con hMG si associava a diminuzione della dose impiegata ed a una minore durata del trattamento rispetto all’FSH, a parità di livelli preovulatori di estradiolo.
Caratteristiche dei cicli di induzione dell’ovulazione con agonisti o antagonisti del GnRH
I primi dati presentati dopo l’introduzione nell’ambito clinico dei GnRH antagonisti mettevano già in evidenza alcune delle fondamentali caratteristiche di questo regime di stimolazione: la minore durata della terapia e il ridotto impiego di gonadotropine rispetto ai cicli con agonisti. Nei primi lavori, tuttavia, si appalesava anche una riduzione del numero di ovociti recuperati nei cicli con antagonista ed una tendenza verso risultati clinici inferiori in termini di percentuali di gravidanza.
Riguardo questi ultimi aspetti, tuttavia, è probabile che la relativa inesperienza nell’uso di questi farmaci e la necessità di una curva di apprendimento abbia rivestito una certa importanza nel determinismo di risultati che poi non sono stati più replicati nei successivi studi e in diverse importanti meta-analisi volte al confronto tra protocolli con agonisti ed antagonisti.
Una di queste, pubblicata nel 2006 da Kolibianakis et al. (11), considerava i dati di 22 studi controllati e randomizzati con un coinvolgimento di più di 3000 pazienti, senza evidenziare significatività statistica in termini di tassi di nati vivi fra i due protocolli, sia pure con un leggero trend a favore degli agonisti. Permaneva altresì una differenza significativa a vantaggio di questi ultimi circa il numero di ovociti recuperati mentre i casi di iperstimolazione ovarica erano meno frequenti con l’uso dell’antagonista.
Due ulteriori recenti review (12, 13) confermano la sostanziale equivalenza dei due approcci in termini di tassi di gravidanza. In particolare la meta-analisi di Bodri (12) considera gli studi volti a comparare agonisti (protocollo lungo) ed antagonisti (protocollo fisso o flessibile) in donne sottoposte a stimolazione per cicli di ovodonazione. In questo lavoro non si riscontrano differenze significative riguardo al numero di ovociti recuperati e all’incidenza di iperstimolazione che invece nell’altra meta-analisi (13) era meno frequente nei cicli con antagonisti; del tutto paragonabile risulta anche il tasso di gravidanza nelle riceventi.
Personalizzazione del protocollo di desensibilizzazione ipofisaria: la paziente high responder
L’iperstimolazione ovarica (OHSS) costituisce tutt’oggi una temibile complicanza dei trattamenti di induzione dell’ovulazione con gonadotropine. Dal punto di vista fisiopatologico, la somministrazione della dose preovulatoria di hCG (solitamente 5.000 o 10.000 IU) è una conditio sine qua non per innescare l’OHSS. L’hCG ha un’emivita lunga ed è misurabile nel sangue fino a due settimane dopo l’iniezione; essa determina importanti modificazioni della permeabilità vascolare e incrementa l’espressione ovarica di VEGF, ponendo così la premessa per l’essudazione di liquidi nella cavità addominale e la costituzione di un terzo spazio che costituiscono il momento patogenetico essenziale della OHSS. Al contrario l’LH ha una emivita molto più breve e manifesta in vitro minore capacità di alterare l’espressione di VEGF. Nei cicli con GnRH antagonisti è possibile sostituire l’hCG con una somministrazione di agonisti del GnRH per provocare un picco endogeno di LH che permette di finalizzare la maturazione finale degli ovociti (II maturazione meiotica) e dei follicoli. L’idea di indurre il trigger con LH anziché hCG non è recente (14), ma solo con la diffusione degli antagonisti nell’impiego clinico ha potuto ricevere piena attuazione; infatti nella paziente trattata con antagonista del GnRH, la somministrazione di un bolo di GnRH agonista (200-300 µg di triptorelina o 1-2 mg di leuprorelina) da 34 a 36 ore prima del pick-up è in grado di superare l’inibizione competitiva dell’antagonista determinando una scarica di LH endogeno sufficiente a indurre la maturazione finale dell’ovocita. Gli studi effettuati su pazienti candidate all’ovodonazione (15) hanno messo in evidenza che questo approccio è in grado di prevenire l’iperstimolazione ovarica con risultati comparabili al protocollo lungo con agonista in termini di ovociti maturi recuperati, tasso di fertilizzazione e tasso di gravidanza nelle riceventi, il che testimonia la piena competenza riproduttiva degli ovociti così ottenuti. L’applicazione dello stesso regime ai normali cicli di fecondazione in vitro, tuttavia, pur confermandone l’efficacia nella prevenzione dell’OHSS ha evidenziato un netto calo delle percentuali di gravidanza possibilmente in rapporto a fenomeni di insufficiente supporto endometriale (16).
Per ovviare a tale inconveniente sono stati proposti diversi approcci:
1. crioconservazione degli embrioni con transfer differito;
2. energico supporto della fase luteinica con alte dosi di estradiolo e progesterone;
3. uso di hCG a basse dosi dopo l’OPU.
Riguardo al 3° punto, occorre evidenziare che la somministrazione s.c. di 1500 IU di hCG 35 h dopo il trigger con agonista (in pratica subito dopo il prelievo ovocitario) è in grado di ripristinare la funzione steroidogenetica del corpo luteo con risultati soddisfacenti in termini di percentuali di gravidanza (17). In pazienti non ad alto rischio di OHSS è possibile ripetere un secondo bolo sempre di 1500 IU di hCG 5 giorni dopo il pick up (17). Casi di OHSS severa sono stati riportati dopo somministrazione dell’hCG anche a tali dosi relativamente basse e pertanto nelle pazienti a rischio elevato è raccomandabile procedere al congelamento degli embrioni e differire il transfer ad un successivo trattamento (18).
Personalizzazione del protocollo di desensibilizzazione ipofisaria: la paziente con scarsa risposta
La prevalenza di pazienti con risposta inadeguata in cicli di fecondazione in vitro è stimata fra il 9 e il 24%. Si tratta di una popolazione eterogena ed i criteri di definizione non sono univoci; nel complesso tuttavia l’esito del trattamento è deludente ed i risultati sono inferiori a quelli delle pazienti con risposta normale. Comprensibilmente, numerosi studi si sono proposti di valutare il protocollo “ideale” di desensibilizzazione dell’ipofisi in queste pazienti; si tratta per lo più di lavori su piccole popolazioni e che hanno portato a risultati comunque clinicamente insoddisfacenti. Recentemente, due ampie meta-analisi, l’una pubblicata nel 2011 (19) e l’altra nel 2013 (20) hanno permesso di raggiungere conclusioni confortate da numeri consistenti (1127 e 1332 pazienti, rispettivamente): in entrambi i lavori l’impiego degli antagonisti si associa a riduzione della dose di gonadotropine impiegate mentre i risultati clinici sono comparabili per quanto attiene sia le percentuali di gravidanza sia il tasso di cancellazione dei cicli. Nella meta-analisi del 2013 vengono tuttavia indagati anche altri parametri relativi alla stimolazione e nell’ambito dei trattamenti con agonista vengono differenziati i cicli condotti con protocollo lungo da quelli basati sul protocollo corto (Figura 2). Si evidenzia in tal modo che, rispetto ai cicli con antagonista, nelle pazienti stimolate con il protocollo lungo lo spessore endometriale è maggiore e più elevati sono i livelli preovulatori di estradiolo.
Per di più il numero di ovociti recuperati è significativamente maggiore con l’impiego dell’agonista (sia protocollo lungo sia protocollo corto) rispetto all’antagonista.
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Conclusioni
Da oltre 30 anni la supplementazione con analoghi del GnRH dei protocolli di stimolazione ovarica con gonadotropine è considerato un prerequisito essenziale per prevenire un picco prematuro dell’LH endogeno e la cancellazione di un’elevata percentuale di cicli di trattamento a causa di ovulazione precoce o prematura luteinizzazione del follicolo. In questi decenni si è definito sempre meglio il ruolo di questa categoria di farmaci e, più recentemente, gli specifici vantaggi e svantaggi rispettivamente degli agonisti e degli antagonisti del GnRH.
Consci del fatto che dal punto di vista clinico, l’impiego di agonisti o antagonisti del GnRH nelle terapie di induzione dell’ovulazione per tecniche di PMA è associato a risultati sostanzialmente comparabili, possiamo comunque riassumere le caratteristiche di ciascuna famiglia di composti secondo il seguente schema:
GnRH antagonisti
Vantaggi
- Riduzione della dose di hMG/FSH richiesta per la stimolazione
- Accorciamento della durata della stimolazione e del relativo monitoraggio
- Diminuito rischio di iperstimolazione ovarica (in relazione alla ridotta dose di hMG/FSH)
- Possibilità di utilizzare un agonista del GnRH invece dell’hCG per indurre la maturazione finale di follicoli ed ovociti.
Svantaggi
- Dipendenza dalla ciclicità mestruale spontanea per l’inizio del trattamento di stimolazione
- Ridotta flessibilità nella programmazione dei cicli di PMA
- Minore numero di ovociti e/o di embrioni ottenuti nella PMA, anche nelle pazienti con scarsa risposta
GnRH agonisti
Vantaggi
- Maggiore facilità nella programmazione dei pazienti per un ciclo PMA
- Maggior numero di ovociti e/o di embrioni ottenuti nella PMA
- Assenza di svantaggi nell’utilizzazione nelle pazienti poor responder
- Trend verso un maggior tasso di gravidanze cliniche in vari studi pubblicati
Svantaggi
- Aumento della dose di hMG/FSH richiesta per la stimolazione
- Maggiori rischi di sindrome da iperstimolazione ovarica
- Necessità dell’uso di hCG per indurre la maturazione finale di follicoli ed ovociti
Pertanto il regime di analoghi del GnRH deve essere selezionato con attenzione in base alle caratteristiche cliniche delle pazienti in trattamento per ottimizzare le possibilità di successo e ridurre i rischi di complicazioni. Gli agonisti del GnRH rimangono comunque una valida ed efficace alternativa agli antagonisti del GnRH nei protocolli di stimolazione ovarica per procreazione assistita.
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