Introduzione precoce delle Cure Palliative in Oncologia: i vantaggi dell’impiego di Fentanil TTS nel trattamento del dolore oncologico
Inquadramento delle Cure Palliative
Le Cure Palliative possono essere definite come gli interventi terapeutici e assistenziali finalizzati, nel loro insieme, alla cura attiva e totale di quei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da una rapida evoluzione e da prognosi infausta, non risponda più a trattamenti specifici. (1)
La curabilità del paziente e dei suoi sintomi in fase avanzata di malattia è pertanto il principio guida delle cure palliative. L’obiettivo è prevenire e contenere il più possibile i sintomi dolorosi e invalidanti che possono caratterizzare la fase terminale di malattie irreversibili, come il cancro, e di molte patologie degli apparati respiratorio, neurologico e cardiovascolare.
In oncologia è da sempre aperto il dibattito su come ottimizzare l’assistenza ai malati terminali e il trattamento della malattia in stadio avanzato. In questo contesto si inserisce la prospettiva di un’introduzione precoce delle cure palliative nel decorso della malattia tumorale allo scopo di migliorare il controllo dei sintomi e di ridurre l’impatto della condizione morbosa. (2) L’ASCO (American Society of Clinical Oncology) e l’ESMO (European Society for Medical Oncology) raccomandano l’introduzione precoce delle Cure Palliative in Oncologia sulla scorta di consolidate evidenze che attestano significativi benefici clinici di questo tipo di strategia, sia per i pazienti che per i caregiver, senza aggravio di costi. (3)
Le evidenze a supporto dell’introduzione precoce delle cure palliative in oncologia e le implicazioni cliniche
Diversi studi hanno dimostrato un evidente impatto positivo delle cure palliative precoci sulla qualità di vita dei malati oncologici, oltre che sull’ottimizzazione dell’impiego di servizi e risorse nell’assistenza ai pazienti terminali. (1)
L’implementazione di cure palliative a domicilio ha, ad esempio, significativamente ridotto gli accessi ai Pronto Soccorso, i ricoveri ospedalieri, (4) le visite del medico di famiglia e gli interventi del servizio di emergenza, (5) ciò come conseguenza del miglioramento del controllo dei sintomi e della qualità di vita dei pazienti trattati. (5)
Risultati positivi sono stati correlati anche alla formazione di un team ospedaliero specializzato in cure palliative, molto apprezzato dagli stessi pazienti, che ha comportato un incremento delle degenze in hospice e ha ridotto il numero di accessi ai reparti di emergenza. (6)
Il miglioramento del controllo dei sintomi e della qualità di vita dei pazienti trattati precocemente con cure palliative si tradurrebbe secondo alcuni studi in un vantaggio anche in termini di sopravvivenza, senza ricorrere all’implementazione di terapie aggressive. (1)
Uno studio pubblicato di recente sugli adenocarcinomi polmonari avanzati, ha dimostrato che la durata della terapia palliativa è significativamente correlata alla sopravvivenza dei malati oncologici e che una palliazione precoce e protratta migliora la prognosi globale dei pazienti portandola da 8,9 a 11,6 mesi. (7) Complessivamente, il peso delle crescenti evidenze cliniche a supporto delle cure palliative precoci ha indotto l’ASCO a raccomandarne l’implementazione già al momento della diagnosi nei pazienti con adenocarcinoma polmonare metastatico (ASCO guidelines 2012). (1)
Occorre tuttavia notare che, a dispetto delle evidenze e delle raccomandazioni degli organismi internazionali, l’introduzione precoce delle cure palliative in oncologia rimane a tutt’oggi un’eccezione piuttosto che la regola. (8)
E in questo contesto di scarsa standardizzazione si sono sviluppati in diverse realtà alcuni interessanti modelli organizzativi. È il caso ad esempio di un’esperienza condotta in Canada. Presso il Princess Margaret Cancer Centre di Toronto è attivo da alcuni anni un Outpatient Palliative Care Clinic (OPCC), ossia un ambulatorio di cure palliative che, oltre a prestare assistenza ambulatoriale quotidiana, è dotato di un’unità per le cure in acuto con 12 posti letto (il Lederman Palliative Care Centre) e un hospice residenziale con 10 posti (il Kensington Hospice). Il percorso di cure offerto dall’OPCC canadese culmina con l’assistenza ai pazienti terminali a domicilio o in regime di ricovero in ospedale o in hospice (Figura 1). Il centro canadese rappresenta un esperimento riuscito di introduzione precoce delle cure palliative in oncologia. Per realizzare tale modello, il Centro mette a disposizione dell’assistenza dei malati un team multispecialistico in grado di valutare e rispondere alle diverse esigenze di ciascun paziente in ogni momento del decorso della malattia. Un modello di cure palliative precoci, come quello canadese, presuppone modalità di accesso non restrittive (ad esempio l’accessibilità da parte dei pazienti in chemioterapia) e dimostra che questo tipo di strategia di intervento può migliorare significativamente gli outcome clinici del paziente oncologico (dal controllo dei sintomi, al miglioramento della qualità di vita) (8,9) anche in termini di riduzione “dell’aggressività” dei trattamenti e ottimizzando anche l’assistenza di fine vita. (8)
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Cure palliative e controllo del dolore: il ruolo dei farmaci
Il principale obiettivo delle cure palliative è naturalmente rappresentato dal controllo del dolore, uno dei sintomi più frequenti nel paziente neoplastico. (1,5)
Rimane sorprendente l’evidenza che il dolore da cancro sia tuttora un sintomo in molti casi (dal 25 al 43%) non adeguatamente trattato, come emerge da una vasta letteratura internazionale. (10)
Uno studio pubblicato di recente (Zhao et al 2014) (11) ha riportato dati molto interessanti sui pattern del dolore oncologico e sulle loro modifiche in relazione a diversi fattori.
In una coorte di circa 3000 pazienti oncologici, i ricercatori hanno osservato che solo 1/3 dei pazienti con presenza di dolore alla valutazione basale riferiva un sollievo del sintomo ad 1 mese (circa il 50% dell’intero campione), mentre in un paziente su 5 il dolore era addirittura peggiorato nel periodo di osservazione. Inoltre, circa il 30% dei pazienti che non riferivano dolore alla visita iniziale, riportavano la presenza del sintomo alla seconda visita (a 1 mese), confermando la necessità di rivalutare frequentemente la sintomatologia algica.
Lo studio ha tra l’altro dimostrato che un’appropriata prescrizione di analgesici rappresenta il principale fattore modificabile correlato alle variazioni di intensità del dolore oncologico. Questo dato è più pregnante di quanto sembri a prima vista: ci dice infatti in quale significativa misura un uso inappropriato o insufficiente o francamente errato della terapia analgesica sia responsabile dell’inadeguato trattamento del dolore oncologico. È un dato sul quale occorre riflettere.
Più in particolare, l’analisi dei vari sottogruppi di pazienti dello studio ha ribadito l’importanza dell’appropriatezza del trattamento analgesico: un suo scadimento è associato al peggioramento dell’outcome del dolore. Infine, uno dei fattori correlato alla difficoltà del trattamento analgesico è il livello di dolore presente alla valutazione basale: più grave è l’intensità del dolore all’inizio del trattamento, più articolato e complesso sarà il percorso di cura, evidenza indiretta della necessità di integrare precocemente le cure palliative nell’ambito del trattamento oncologico.
Trattamento efficace del dolore oncologico: il ruolo preminente degli oppioidi forti
In base alla famosa scala analgesica dell’OMS (Figura 2), il primo step del trattamento del dolore oncologico prevede l’impiego di FANS o paracetamolo associati eventualmente a farmaci adiuvanti (antidepressivi, anticonvulsivanti, stabilizzanti di membrana, steroidi, ecc.). (12)
Gli step successivi, in presenza di dolore persistente o ingravescente, prevedono l’aggiunta prima di oppiacei deboli (step 2) e quindi degli oppioidi forti (step 3), potenti agonisti dei recettori µ, come morfina, ossicodone, idromorfone, metadone e fentanil.
In realtà il ruolo dello step 2 è da sempre controverso e oggetto di dibattito, per due motivi: primo, perché il controllo del dolore con gli oppioidi deboli è piuttosto limitato nel tempo e, secondo, perché, al contrario, la risposta agli oppioidi forti è altamente affidabile in presenza di dolore severo. (12)
Per questo motivo, alcuni autori sostengono l’opportunità di passare direttamente all’impiego degli oppioidi forti (step 3).
Un altro aspetto importante riguarda la via di somministrazione degli oppioidi. Si tratta di un fattore in grado di condizionare significativamente gli algoritmi di trattamento, in quanto correlato a diversi aspetti, quali la risposta analgesica, la tollerabilità del trattamento, la condizione fisica del paziente, la sua aspettativa di vita. (12)
A tale riguardo, da diversi anni si è affermata la somministrazione transdermica degli oppioidi forti, soprattutto grazie ai buoni risultati conseguiti con il fentanil TTS. (12) L’impiego di tale via è di indubbio vantaggio ad esempio in caso di pazienti non in grado di ingerire farmaci per via orale.
Ma anche nei casi in cui questo limite non sia presente, l’oppioide forte per via transdermica offre vantaggi in termini di tollerabilità, grazie alla significativa riduzione del carico di effetti collaterali. (12)
Di seguito analizzeremo il profilo farmacologico e le evidenze cliniche a supporto dell’impiego di fentanil transdermico nella terapia palliativa.
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Fentanil transdermico: efficacia e tollerabilità di un oppioide forte
Schematicamente, il cerotto transdermico per la somministrazione di fentanil (Figura 3) presenta una pellicola di supporto impermeabile al farmaco e all’acqua che impedisce l’evaporazione del principio attivo durante la conservazione e nel tempo di applicazione del prodotto.
In alcuni sistemi il principio attivo è contenuto all’interno di un serbatoio dal quale il fentanil diffonde attraverso una membrana che ne controlla la velocità di cessione. (12, 13)
In altri sistemi l’oppioide è contenuto all’interno della matrice autoadesiva. (14)
In seguito all’applicazione del cerotto, il fentanil viene assorbito in modo continuo attraverso la cute per un periodo di 72 ore con una velocità di cessione relativamente costante. (14)
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Dopo la prima applicazione, le concentrazioni di fentanil nel sangue aumentano progressivamente, assestandosi tra le 12 e le 24 ore successive e rimanendo costanti per il resto delle 72 ore previste per l’applicazione. (14)
Riguardo al dosaggio, nel caso di pazienti ai quali in precedenza non siano stati somministrati oppiacei forti, la dose iniziale di fentanil TTS non deve superare 12.5–25 mcg/ora. (14)
Quando si passa da oppiacei orali o parenterali al trattamento con fentanil, la dose iniziale deve essere calcolata convertendo la quantità di analgesico necessaria in morfina orale e poi in fentanil transdermico, ricorrendo alle tabelle di efficacia equianalgesica. (14)
La disponibilità di diverse formulazioni di cerotto a cessione variabile di fentanil (da 12 a 100 mcg/ora) (14) rende possibile tutti i necessari aggiustamenti di dosaggio. L’efficacia analgesica di fentanil transdermico è stata dimostrata in numerosi studi (12).
Diversi trial in aperto suggeriscono che questo tipo di formulazione ha una buona efficacia nel controllo del dolore, con un profilo accettabile e prevedibile di effetti collaterali. (12) Anche gli studi di confronto con morfina a rilascio prolungato dimostrano una sostanziale equivalenza di effetti analgesici con fentanil transdermico. (12)
In particolare, un trial multicentrico randomizzato, (15) su 131 pazienti oncologici con dolore lieve-moderato, ha confermato che fentanil transdermico e morfina a rilascio prolungato agiscono con efficacia sovrapponibile sul controllo del dolore (Figura 4), e migliorano la qualità del sonno nei pazienti trattati. (15)
Nessuno dei pazienti trattati ha manifestato depressione respiratoria. I dati più interessanti di questo studio multicentrico riguardano i profili di tollerabilità dei due trattamenti. Gli eventi avversi hanno indotto la sospensione del trattamento con una frequenza significativamente maggiore tra i pazienti trattati con morfina (36% nel gruppo morfina vs 4% nel gruppo fentanil; p<0.001).
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Anche la stipsi, uno degli eventi avversi più comuni nel trattamento con oppioidi forti, è risultata meno frequente tra i pazienti trattati con fentanil transdermico.
La differenza è risultata significativa dopo 1 settimana di trattamento (27% nel gruppo fentanil vs 57% in quello morfina; p=0.003).
Il profilo di tollerabilità favorevole di fentanil TTS è emerso anche nella valutazione soggettiva che pazienti e ricercatori hanno espresso in merito al trattamento.
Il giudizio dei pazienti ha favorito il fentanil TTS in merito all’incidenza significativamente ridotta degli effetti collaterali più fastidiosi (14% nel gruppo fentanil vs 36% nel gruppo morfina; p=0.003) e anche in relazione alla minore interferenza del trattamento con le attività giornaliere (assenza di qualunque interruzione nell’88% dei soggetti trattati con il fentanil vs 63% di quelli trattati con morfina; p=0.012). Anche i ricercatori si sono espressi a favore del fentanil, sia riguardo alla tollerabilità (p=0.039 vs morfina) che riguardo al giudizio complessivo (p=0.013 vs morfina). (15)
Le conclusioni degli autori dello studio indicano che fentanil TTS, nel trattamento di prima scelta del dolore da cancro, è efficace al pari della morfina, ma decisamente meglio tollerato, anche nei pazienti naïve per gli oppioidi.
Complessivamente, le evidenze disponibili sull’efficacia del fentanil TTS, risultano convincenti e vengono ampiamente recepite anche nelle recenti linee guida AIOM. (16)
Una rapida rassegna delle raccomandazione dell’AIOM permette di confermare infatti che il fentanil transdermico rappresenta una buona opzione per la somministrazione degli oppioidi del cosiddetto “III scalino”, opzione da preferire in alcuni pazienti (ad esempio quelli che non riescono a deglutire).
Le linee guida rimarcano che le prove disponibili indicano una “riduzione utile e significativa di stipsi per fentanil transdermico rispetto a morfina”. (16)
Conclusioni
L’introduzione precoce delle cure palliative nel trattamento della malattia tumorale migliora il controllo del dolore e la qualità di vita dei pazienti. Ciò si traduce, secondo alcuni studi, in un vantaggio anche in termini di sopravvivenza, evitando il ricorso a trattamenti “aggressivi”.
La somministrazione transdermica degli oppioidi forti, come il fentanil, rappresenta una modalità efficace e ben tollerata per il trattamento del dolore oncologico.
Fentanil TTS, nel trattamento di prima scelta del dolore da cancro, è efficace al pari della morfina, ma decisamente meglio tollerato, anche nei pazienti naïve per gli oppioidi.
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