La spirometria nella fibrosi cistica

Dalla clinica all’ostruzione bronchiale indotta da farmaci

Il difetto molecolare di base della Fibrosi Cistica (FC) determina una disidratazione del liquido periciliare negli epiteli respiratori. Ciò conduce progressivamente a ristagno endoluminale di secrezioni infette, infiammazione, danno anatomico e perdita funzionale che conduce all’insufficienza d’organo. Il danno funzionale si sviluppa nel tempo e può essere studiato per mezzo di diversi test di funzionalità respiratoria, ciascuno adatto alle diverse fasi di progressione della malattia. Ciò è possibile, però, solo in un Laboratorio di Fisiopatologia Respiratoria attrezzato.

Nella pratica clinica quotidiana e nelle diverse realtà territoriali è tuttavia necessario poter disporre di strumenti semplici, affidabili e possibilmente poco costosi che permettano una valutazione sufficientemente attendibile della funzione polmonare. In questo senso, l’esame più utilizzato è la spirometria, un test estremamente utile nella valutazione clinica del paziente con FC. Bisogna, tuttavia, essere ben consapevoli di quali sono i limiti di questo test per poter interpretare correttamente le informazioni che fornisce.

 

Vantaggi e limiti della spirometria

L’esecuzione dell’esame spirometrico fin dall’infanzia, contribuisce ad ottenere un corretto inquadramento clinico del paziente e di valutarne l’andamento nel tempo, sia identificando precocemente gli episodi di esacerbazione infettiva respiratoria (quindi la fase acuta), sia valutando l’andamento globale nel lungo termine.

L’andamento della funzione polmonare permette di capire se si è ottenuto il controllo della malattia (stabilità funzionale), se è necessario modificare la strategia di trattamento (in caso di deflessione funzionale) e di verificare l’efficacia di un nuovo programma di terapia personalizzato (recupero o stabilizzazione spirometrica). Come si vede, una corretta valutazione della funzione polmonare è indispensabile per un efficace programma di trattamento e follow-up determinando, almeno in parte e conseguentemente, la possibilità di una migliore prognosi nel singolo paziente. Per tali ragioni è necessario conoscere potenzialità e limiti di questo esame.

Con l’esame spirometrico si può porre diagnosi di ostruzione bronchiale (difetto funzionale di tipo ostruttivo, tipico della FC), definito da un indice di Tiffeneau, ovvero dal rapporto tra Volume Espiratorio Forzato al primo secondo (FEV1) e Capacità Vitale Forzata (FVC), inferiore al 70%. In queste circostanze, l’entità della riduzione del FEV1 definisce il livello di gravità della bronco­pneumopatia ostruttiva (Tabella 1).

 

Tabella 1.

Definizione di ostruzione bronchiale e livello di gravità nella broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) e nella FC.

 

 

Il FEV1 è il parametro più comunemente utilizzato nella valutazione funzionale del paziente con FC e viene espresso come percentuale dell’atteso per sesso, età e statura (% pred.), come gli altri indici misurati dalla spirometria. La determinazione puntiforme di un valore di FEV1 è però solo parzialmente interessante.

Ciò che è più importante è valutarne l’andamento nel tempo e confrontarlo con il livello “best” di funzione polmonare del soggetto: un valore normale di FEV1 % pred. non esclude un significativo peggioramento clinico e bisogna sempre valutare, in questi casi, anche la perdita di volume in termini assoluti (mL).

In caso di ostruzione bronchiale lieve, un calo rilevante di FEV1 in termini assoluti può corrispondere, infatti, ad una perdita percentuale poco evidente. Si deve ricordare, inoltre, che il valore di FEV1 dev’essere relazionato all’età del paziente quando si valuta lo stato di gravità della malattia: ad esempio, in un bambino di 10 anni un FEV1 60% pred. ha il significato di malattia severa, in un adulto no.

Dobbiamo considerare anche che, rispetto all’evoluzione del danno polmonare, l’ostruzione bronchiale è un evento relativamente tardivo misurabile, a volte, solo dopo che sono avvenuti danni anatomici rilevabili con diagnostica d’immagine e il danno funzionale è certamente già iniziato. Una spirometria normale, pertanto, non è indice di assenza di danno polmonare.

In questa fase di malattia, inoltre, l’attesa perdita di funzione polmonare che caratterizza l’andamento della FC nei primi anni di vita, è inferiore alle capacità di identificarla da parte della spirometria. In questi pazienti l’elevato Coefficiente di Variazione del FEV1 e ancor di più dei flussi a piccoli volumi (che più identificano il danno iniziale a carico delle piccole vie aeree), rendono impossibile valutare scostamenti dal declino funzionale atteso di circa 1-2%/anno.

Altri test funzionali come la pletismografia corporea e la misura di LCI (Lung Clearance Index) possono aiutare in questo senso, visto che iper­inflazione e disomogeneità di ventilazione sono precedenti all’insorgenza della ostruzione bronchiale (Tabella 2).

 

Tabella 2.

Alcuni punti chiave nell’evoluzione del danno polmonare.

 

 

Se ci si vuole fermare alla spirometria (non sempre test più fini sono disponibili) è da sottolineare che, come già accennato, il primo segnale di alterata funzione polmonare è un calo del Flusso Espiratorio Forzato tra il 25 e il 75% della FVC (FEF25-75), parametro molto variabile e per questo di difficile valutazione.

Nelle fasi più avanzate di malattia, quando vi è un quadro di ostruzione bronchiale severa e/o insufficienza respiratoria, volumi e flussi polmonari sono così ridotti che la loro variazione è estremamente limitata, fino al punto da non essere quasi misurabile. In queste circostanze, l’esame spirometrico può non correlare con variazioni cliniche anche significative.

Eseguire una emogasanalisi arteriosa o monitorare l’andamento della saturazione ossiemoglobinica può fornire informazioni molto più utili a valutare l’andamento della funzione polmonare.

Oltre che per l’inquadramento ed il monitoraggio della pneumopatia FC, la spirometria viene utilizzata anche per valutare la possibile reversibilità dell’ostruzione bronchiale, cioè la presenza di asma. Questo è un punto molto sottovalutato nonostante sia riconosciuto che molti pazienti con FC siano asmatici. Per asma si intende, sul piano funzionale, una broncostruzione reversibile dopo inalazione di un broncodilatatore, cioè che dopo premedicazione con salbutamolo 400 mcg, l’incremento del FEV1 sia almeno del 12% rispetto al valore basale (o 200 ml) (1).

L’importanza di identificare un paziente FC asmatico è duplice. Da un lato l’asma può essere l’espressione di una componente infiammatoria polmonare importante (se non prevalente) di cui tener conto nel programma terapeutico individualizzato implementando, ad esempio, il trattamento antinfiammatorio (locale o sistemico).

Secondariamente l’irritabilità bronchiale può essere un ostacolo al piano di trattamento pensato per il paziente, rendendolo inidoneo alla somministrazione di alcuni farmaci per via inalatoria e limitandone, quindi, le possibilità di cura.

 

 

La spirometria nella valutazione dei farmaci per aerosol

Nella pratica clinica, quindi, è buona norma valutare periodicamente la risposta funzionale all’inalazione di salbutamolo ed eseguire un challenge farmacologico prima di prescrivere farmaci per via aerosolica (in primis antibiotici e mucolitici), soprattutto nei pazienti con storia di asma.

Come si esegue un challenge farmacologico? Il paziente esegue una spirometria basale, successivamente alla quale si somministra il farmaco da testare per via inalatoria (soluzione per aerosol o polvere per inalazione). Dopo 15 minuti dall’inalazione si ripete la spirometria. Si considera broncostruzione indotta dal farmaco un calo del FEV1 superiore al 12% rispetto al basale o almeno 200 ml.

Naturalmente per i farmaci, per i quali sia comunque indicata la premedicazione con broncodilatatori (come la soluzione ipersalina), il challenge viene eseguito con inalazione di salbutamolo. Quando si esegue questo test è importante verificare anche l’eventuale insorgenza di sintomi disturbanti come tosse irritativa, irritazione faringea ecc., allo scopo di valutare se, nonostante l’eventuale esclusione di una ostruzione bronchiale indotta, questi sintomi possano costringere il paziente a sospendere il trattamento in un secondo momento. Infatti, mentre la presenza di broncostruzione indotta controindica la prescrizione del farmaco testato, la presenza di sintomi deve essere correttamente valutata.

Un approccio razionale alla prescrizione sicura di un farmaco mucolitico per aerosol è descritta in Figura 1.

Un tipico esempio è la valutazione di prescrivibilità della soluzione ipersalina (NaCl 7%), il farmaco mucoattivo più utilizzato nel trattamento della FC, ma anche uno dei meno tollerati.

 

 

Figura 1.

Flow-chart per la valutazione di farmaci mucoattivi.

 

 

L’efficacia della soluzione ipersalina è stata ben documentata: la migliore idratazione delle secrezioni bronchiali facilita la clearance mucociliare e la toilette bronchiale, permettendo di ottenere recupero della funzione polmonare e riducendo la necessità di trattamenti antibiotici (5).

Vi sono, tuttavia, almeno due ostacoli che ne limitano l’uso. Innanzitutto è ben documentato che l’inalazione di soluzione ipersalina si associa spesso a sintomi disturbanti che inducono il paziente a sospendere il trattamento (6).

Un ulteriore problema è rappresentato dalla elevata frequenza di asma nei pazienti con FC: in una nostra recente esperienza, il 38% di pazienti che sono stati sottoposti a challenge con soluzione ipersalina avevano una storia recente di broncostruzione reversibile (7), quindi ad elevato rischio di broncostruzione indotta dal farmaco.

Nonostante la premedicazione con salbutamolo, si è documentata broncostruzione indotta nel 19% di questi pazienti. Allo scopo di ridurre le limitazioni funzionali e cliniche della soluzione ipersalina, ne è stato proposto l’uso in associazione con l’acido ialuronico.

L’acido ialuronico è un polisaccaride formato da ripetute unità disaccaridiche, costitutivo della matrice extracellulare. È presente in molti organi, tra cui il polmone (in quantità stimabile di circa 150 mg in un adulto) dove presenta PM di circa 200 kD. I suoi effetti fisiologici nel polmone includono crescita e riparazione tissutale, un effetto barriera (migrazione di leucociti ed enzimi infiammatori), il controllo dell’omeostasi dell’acqua (migliorando l’elasticità delle fibre elastiche polmonari), la stabilizzazione della matrice extracellulare, la stimolazione del battito ciliare e la prevenzione del danno da elastina. Il ruolo terapeutico dell’acido ialuronico nelle patologie respiratorie è interesse di studio (8). Esistono esperienze pubblicate nel trattamento della bronchite cronica (9) e dell’asma indotto da esercizio (10).

Sul piano teorico l’acido ialuronico in aggiunta alla soluzione ipersalina, avrebbe dovuto ridurre il sapore salato, ridurre l’effetto broncostruttivo (aumentando la concentrazione di NaCl si aumenta l’effetto irritante sulle vie aeree), mantenendo allo stesso tempo invariato il potere osmotico della soluzione ipersalina “non protetta”.

Le esperienze ad oggi disponibili hanno effettivamente confermato che, in FC, l’uso di acido ialuronico aggiunto a soluzione ipersalina, ha permesso di ridurre la frequenza di sintomi disturbanti (11) e di broncostruzione indotta (12) osservati con la soluzione ipersalina da sola, sia in pazienti non broncoirritabili che in pazienti FC con ostruzione bronchiale reversibile.

In un report recente abbiamo riportato la nostra esperienza in un gruppo di pazienti con FC sottoposti a challenge farmacologico con soluzione ipersalina e con soluzione ipersalina + acido ialuronico (oltre che con soluzione ipersalina + mannitolo) (7). Il secondo gruppo di pazienti (challenge con soluzione ipersalina + acido ialuronico) comprendeva un numero maggiore di pazienti con ostruzione bronchiale reversibile (58% contro il 38% del gruppo che testava solo soluzione ipersalina) evidenziata in fase stabile di malattia. Ciò riflette l’abitudine diffusa di prescrivere in prima istanza la soluzione NaCl 7% a tutti i pazienti e, solo come alternativa, la soluzione con acido ialuronico in quelli che non tollerano il trattamento (determinando quindi una maggior frequenza di pazienti intolleranti in questo gruppo).

Anche in queste circostanze, quindi in un gruppo maggiormente a rischio di broncostruzione indotta, la soluzione con acido ialuronico si è dimostrata meglio tollerata ed ha indotto meno frequentemente ostruzione bronchiale dopo inalazione del farmaco (12.5%) rispetto al gruppo di pazienti sottoposti a challenge con soluzione ipersalina non protetta (19%) (Figura 2).

 

Figura 2.

Prevalenza di broncostruzione indotta e altri sintomi disturbanti.  HS, soluzione ipersalina; HAHS, soluzione ipersalina + acido ialuronico; MAHS, soluzione ipersalina + mannitolo. *p=0.008; **p=0.006

 

Se l’acido ialuronico eserciti solamente una funzione protettiva sulle vie aeree o se possa avere una propria azione antinfiammatoria ancillare nella FC, ad oggi non è chiaro. Le evidenze in vitro e in vivo che ad oggi documentano un effetto antinfiammatorio dell’acido ialuronico sono poche (13). Non si può, quindi, escludere un potenziale effetto antinfiammatorio dell’acido ialuronico (14). Potrebbe, invece, contribuire a richiamare acqua nel lume bronchiale potenziando l’effetto della soluzione ipersalina ma ciò, ad oggi, non è confermato.

Altre ipotesi potrebbero includere il potenziamento del battito ciliare, il miglioramento dell’elasticità delle fibre polmonari, la riduzione del danno da elastina e un effetto barriera (8).

Nonostante ad oggi non sia completamente chiarito il ruolo dell’acido ialuronico nel trattamento della FC, si può comunque affermare che il suo uso in associazione con soluzione ipersalina è di grande significato clinico poiché permette ad un sempre maggior numero di pazienti di potersi giovare di un trattamento mucoattivo estremamente efficace, altrimenti precluso dall’irritabilità bronchiale e da frequenti effetti collaterali.

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

 

N. 16/2017 - MedTOPICS - Periodico Quindicinale

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