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Screening del carcinoma della cervice


Il ruolo del Pap-test: dallo screening al triage

L’incidenza dei tumori della cervice uterina in Italia, negli ultimi dieci anni, è diminuita di quasi il 25% grazie agli effetti positivi dello screening e del trattamento precoce. Le evidenze scientifiche hanno dimostrato che sopra i 30 anni è molto “costo-efficace” l’HPV-DNA test effettuato ogni 5 anni, essendo migliore del Pap-test nel rilevare la presenza o il rischio di sviluppare carcinomi e lesioni di alto grado (1). Viceversa, ci sono prove che sotto i 30 anni lo screening basato su HPV-DNA test conduce a sovradiagnosi di CIN2 che sarebbero regrediti spontaneamente, con il conseguente rischio di sovratrattamento. La tempistica dei 5 anni trova ragione nel fatto che l’HPV-DNA test identifica con molto anticipo lo stato di rischio di avere una lesione, rispetto a quanto avveniva con il Pap-test e quindi è possibile fare il test meno frequentemente, allungando i tempi tra un HPV-DNA test e il successivo. L’allungamento dell’intervallo di screening non è dovuto quindi a motivi di risparmio o tagli alla sanità di cui tanto si sente parlare in questo periodo, ma è dovuto al fatto che l’HPV-DNA test è un test più protettivo, sensibile e sicuro rispetto al precedente. In Olanda l’intervallo di screening con l’HPV-DNA test è addirittura di sette anni. Per questo passare dai tre anni ai cinque anni di intervallo tra i test non comporta una minore sicurezza per la donna. Il Piano Nazionale della Prevenzione (PNP 2014-2018) ha previsto da parte delle Regioni la riconversione dei loro programmi di screening dal Pap-test al HPV-DNA test per le donne al di sopra dei 30-35 anni di età entro il 2018, seguendo il protocollo definito nel rapporto di Health Technology Assessment (HTA) pubblicato nel 2012 (2). L’aggiornamento delle linee guida europee, pubblicate a settembre 2015 (3), ha previsto l’introduzione del HPV-DNA test di screening con un protocollo assolutamente analogo a quello riportato nel documento HTA italiano: HPV-DNA test da solo e Pap-test di triage solo nelle donne HPV positive. Il Pap-test, quindi, diventa un esame di completamento (chiamato anche test di triage), perché seleziona le donne che hanno modificazioni cellulari e che devono fare la colposcopia.
Se invece la citologia non presenta alterazioni importanti la donna ripeterà l’HPV-DNA test dopo un anno e si sottoporrà a colposcopia in caso di persistenza dell’infezione HPV; se il Pap-test di triage è positivo, il protocollo prevede la colposcopia immediata. Il protocollo dello screening con HPV come test primario, affida al risultato del Pap-test di triage un ruolo chiave. In altre parole, nello screening con HPV primario la citologia cambia ruolo, diventando un test di triage invece che di screening. Nel passaggio dalla citologia di screening alla citologia di triage il citologo è consapevole che il Pap-test proviene da una popolazione selezionata a rischio di patologia ed è, quindi, più esposto a un rischio di sovradiagnosi piuttosto che di falsi negativi (4).
I test per lo screening del carcinoma della cervice uterina devono essere clinicamente validati per specificità e sensibilità (Rapporto N.6/2021 del Documento ONS-GISCi). L’ONS (Osservatorio Nazionale per gli Screening) ha dato mandato al GISCi (Gruppo Italiano Screening del Cervicocarcinoma) di predisporre un aggiornamento periodico di “HPV-DNA test validati per lo screening”. Oltre che come test primario di screening, l’HPV-DNA test è stato proposto anche per il triage delle donne con citologia ASC-US, LSIL, ASC-H, HSIL e per il follow-up post-trattamento (5). Si tratta, tuttavia, dei risultati di un’analisi della letteratura, delle Linee guida europee, statunitensi e inglesi, e delle raccomandazioni delle società scientifiche e agenzie governative più influenti, non di un protocollo di colposcopia o una linea guida, ma di uno strumento che fornisce indicazioni su come e quando è possibile inserire l’HPV-DNA test-HR nel follow-up post- colposcopia delle ASC-US, delle LSIL, delle ASC-H e delle HSIL. In conclusione, il cambio di paradigma organizzativo necessita di un percorso conoscitivo ed informativo specifico per tutte le figure professionali coinvolte in questo processo di screening. È necessario armonizzare tra loro gli operatori che storicamente hanno vissuto una diversa gestione dell’attuale programma di screening al fine di garantire l’omogeneizzazione su tutto il territorio e aumentare la possibilità di una divulgazione univoca delle fasi del protocollo (sia nelle azioni che nelle tempistiche) presso la popolazione. ❮

Bibliografia

  1. Ronco G, Dillner J, Elfström KM et al. International HPV screening working group. Efficacy of HPV-based screening for prevention of invasive cervical cancer: follow-up of four European randomized controlled trials. Lancet 2014;383(9916):524-532.
  2. Ronco G, Biggeri A, Confortini M et al. HTA report: Ricerca del DNA di papilloma virus umano (HPV) come test primario per lo screening dei precursori del cancro del collo uterino. Epidemiol Prev 2012;36 (3/4 suppl 1):e1-e72.
  3. Von Karsa L, Arbyn M, De Vuyst H et al. European guidelines for quality assurance in cervical cancer screening. Summary of the supplements on HPV screening and vaccination. Papillomavirus Res 2015; 1:22-31.
  4. La citologia di triage nei programmi di screening con HPV come test primario: indicazioni per l’implementazione delle Linee guida europee 2015 - versione definitiva discussa ed approvata nella riunione di consenso del gruppo di lavoro del 2/4/2019 e ratificata dall’Assemblea GISCiil 30/05/2019.
  5. Utilizzo del HPV-DNA test-HR nel triage delle ASC-US, delle LSIL in donne con più di 35 anni, nel follow-up delle donne con citologia ASC-US+ dopo un approfondimento di secondo livello negativo per CIN2+ e nel follow-up dopo trattamento delle lesioni CIN2-3: Aggiornamento 2018 discusso e approvato dal Gruppo di lavoro e successivamente ratificato dall’Assemblea GISCi il 15/06/2017.
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