Aderenza alla terapia del paziente epilettico: una sfida attuale
Definizioni
Nella letteratura scientifica anglosassone i termini compliance ed adherence vengono utilizzati come sinonimi. La compliance è classicamente definita come il grado di coincidenza tra il comportamento di un paziente e le prescrizioni mediche. Questo implica che è piena responsabilità del paziente seguire le prescrizioni mediche. Il termine adherence, successivamente affermatosi nella letteratura scientifica, è ritenuto più corretto e privo di connotazioni potenzialmente negative, in quanto sottolineerebbe il ruolo attivo del paziente e la sua partecipazione al trattamento.
L’aderenza include il concetto di scelta del paziente, con una responsabilità condivisa tra quest’ultimo ed il medico, che ha comunque il compito di fornire istruzioni chiare sulla terapia (1).
I tassi di aderenza sono riportati come la percentuale di dosi prescritte del farmaco che viene assunta dal paziente in un determinato periodo di tempo. Una definizione operativa di aderenza è costituita dal Medication Possession Ratio (MPR), ovvero il numero cumulativo di giorni di copertura farmacologica, sulla base delle prescrizioni mediche (2). Un MPR maggiore o uguale all’80% indica un’aderenza ottimale (3).
Gli outcome clinici del trattamento sono influenzati non solo dall’aderenza al trattamento, ma anche dalla persistenza, termine con cui viene definito il periodo compreso tra l’inizio e l’interruzione del trattamento (2).
Aderenza al trattamento nelle patologie croniche
La bassa aderenza al trattamento per i pazienti con patologie croniche è un problema universale di enorme rilevanza (4). I dati statistici dimostrano che, nonostante la disponibilità di efficaci trattamenti, si rivela ancora inadeguata (Tabella 1) (5).
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È dimostrato, in particolare, che molti pazienti affetti da patologie croniche come asma, ipertensione, diabete e HIV/AIDS incontrano difficoltà nel seguire correttamente il regime terapeutico consigliato (4). Briesacher et al. [Pharmacotherapy 2008;28(4):437-443] hanno valutato l’aderenza tra pazienti affetti da una tra sette patologie croniche, tra cui l’epilessia, nel corso di un periodo di osservazione di 1 anno. In base ad una definizione dell’aderenza come copertura farmacologica ≥80% dei giorni, è stata osservata una percentuale di aderenza compresa tra il 37%, per i pazienti gottosi e il 72% per gli ipertesi. Per i pazienti epilettici, la percentuale di aderenza è risultata pari al 61% (6) (Figura 1).
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La bassa aderenza che riguarda i trattamenti a lungo termine può comprometterne gravemente l’efficacia rendendo la questione una problematica sanitaria rilevante, sia dal punto di vista dei costi che della qualità di vita del paziente.
La capacità del paziente di seguire correttamente la terapia è compromessa di frequente da molteplici fattori, generalmente derivanti da diversi aspetti del problema (4). Secondo l’OMS possono essere raggruppati in cinque categorie (1) (Tabella 2).
La scarsa aderenza è la causa principale di risultati clinici poco soddisfacenti. Le conclusioni della ricerca in questo ambito sono inequivocabili: il problema dell’aderenza si presenta in tutte le situazioni in cui è richiesta l’auto-somministrazione del trattamento, indipendentemente dal tipo e gravità della malattia e dalla possibilità di accesso alle cure (4).
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Aderenza al trattamento in epilessia
L’epilessia è una patologia neurologica cronica, in quanto colpisce circa 50 milioni di persone in tutto il mondo. Nella maggior parte dei casi il trattamento con farmaci antiepilettici (FAE) si dimostra efficace nel controllare le crisi. Tuttavia, nonostante i trattamenti disponibili, più del 30% dei pazienti non raggiunge un pieno controllo della sintomatologia (8). Una delle possibili cause dell’insuccesso terapeutico è stata identificata nella scarsa aderenza (9).
Alcuni studi condotti su database di assicurazioni sanitarie riportano che il 30-50% dei pazienti epilettici non è aderente alla terapia. Un altro studio mostra invece che il 70% dei pazienti riporta di aver saltato l’assunzione di dosi di farmaco (10).
In uno studio di Gabr et al. il 38.3% dei pazienti è risultato non aderente al trattamento. In (Figura 2) sono illustrate le cause riportate. I risultati dello studio hanno evidenziato inoltre che il numero di pazienti che si sentivano stigmatizzati dalla malattia era significativamente più elevato tra quelli non aderenti (8).
Ulteriori fattori descritti come predittivi di scarsa aderenza sono rappresentati da maggiore gravità dell’epilessia, presenza di deficit cognitivi, scarsa comprensione delle implicazioni della malattia, spese per i medicinali e una relazione non ottimale tra medico e paziente (11).
Sul piano economico, la mancata aderenza rende l’epilessia molto più costosa. Va considerato, inoltre, che ristabilire il controllo delle crisi una volta che è stato perso ha un impatto economico maggiore di una terapia di mantenimento, in quanto determina un maggior numero di visite mediche, esami di laboratorio e probabilmente dosaggi più elevati di farmaco (6).
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La scarsa aderenza al trattamento in epilessia si traduce, inoltre, in un incremento della morbilità e della mortalità e in una riduzione della qualità di vita e della produttività (10). Poiché per un adeguato controllo delle crisi può essere necessaria un’aderenza superiore al 95%, la mancata assunzione di una o più dosi alla settimana può essere sufficiente a causare l’insuccesso terapeutico (8). I risultati di uno studio di Manjunath et al. [Epilepsy Behav 2009;14(2):372-8] mostrano come la mancata aderenza determini un aumento del 21% delle crisi epilettiche (6). La mancata aderenza al trattamento in epilessia può essere valutata indirettamente anche attraverso eventi riferiti come associati alle crisi, quali ad esempio visite mediche, visite o ricoveri ospedalieri, chiamate di emergenza o eventi come traumi cranici, fratture, incidenti automobilistici o anche morte (6). Nel RANSOM study [Faught et al. Neurology 2008;71(20):1572-8], in una coorte di pazienti assistiti dal Medicaid in un periodo di 9 anni, è stato osservato un aumento di 3 volte del rischio di morte durante i trimestri di mancata aderenza (definita come MPR ≤80%) (6).
Risultati simili sono stati riportati da Davis et al. [Epilepsia 2008;49(3):446-54] in una popolazione di oltre 10000 pazienti adulti, in cui è stato dimostrato un rischio 1.5 volte più elevato di visita in Pronto Soccorso e 1.4 volte più elevato di incidente stradale tra i pazienti non aderenti al trattamento (6).
Popolazione pediatrica
Per quanto riguarda la popolazione pediatrica, i livelli di aderenza sono strettamente dipendenti dal livello di supporto e controllo da parte dei genitori.
In uno studio condotto da Mitchell et al. (Epilepsia 2000; 41:1616-25) su bambini di età compresa tra 4 e 13 anni, sorprendentemente è stato osservato un maggior rischio di bassa aderenza nelle famiglie classificate come “appartenenti ad un livello socio-economico più elevato”, il che avvalora la teoria della non aderenza intenzionale piuttosto che come conseguenza di difficoltà di accesso al trattamento o di difficoltà di comprensione (12).
Dall’altro lato sembra che vi sia una minore aderenza nelle famiglie con più alte aspettative sui risultati scolastici dei figli (12), che potrebbero incoraggiarne una minore assunzione per il timore dei possibili effetti dei FAE sulle capacità intellettive (12).
L’aderenza in età pediatrica è condizionata inoltre dall’impatto sociale dell’assunzione del farmaco nell’ambiente scolastico, per la possibilità di effetti negativi sui rapporti con i compagni. Questa problematica ha sicuramente un impatto minore nel caso in cui il paziente assuma dei medicinali che non devono essere assunti durante l’orario scolastico (12).
Per quanto riguarda gli adolescenti, in uno studio di Buck et al. (Seizure 1997; 6:87-9) il 52% degli adolescenti ha riportato di avere sempre assunto il trattamento prescritto, contro il 72% dei soggetti di età superiore ai 20 anni. È possibile che in questa fase i genitori siano meno coinvolti, aumentando il rischio che alcune dosi vengano dimenticate, oppure che i ragazzi possano percepire maggiormente lo stigma sociale associato all’assunzione dei FAE (12). Inoltre, la percezione nei soggetti giovani che la malattia non interferisca con il loro benessere sociale è un fattore in grado di aumentare l’aderenza (12). A tale riguardo l’aumento di peso, un effetto indesiderato molto comune tra i FAE, risulta particolarmente problematico a causa di un forte impatto sulla loro autostima e QoL, e rappresenta quindi un’importante causa di non aderenza in questa fascia di età (13).
Raccomandazioni per aumentare l’aderenza al trattamento
Le strategie per migliorare l’aderenza alle terapie antiepilettiche possono derivare da differenti prospettive (12). Alcuni interventi utili a questo scopo riguardano:
• la relazione terapeutica - migliorare la comunicazione tra medico e paziente, non colpevolizzare il paziente non aderente;
• l’informazione del paziente - incoraggiare il paziente a chiedere informazioni, rendere chiaro il razionale della scelta della terapia AE, spiegare il significato dei test eseguiti, fornire istruzioni esaurienti sul trattamento, discutendone i pro e i contro;
• il regime terapeutico - quando possibile ridurre il numero dei farmaci e la frequenza delle somministrazioni;
• il rischio di dimenticanza - suggerire al paziente aiuti mnemonici, associando il momento dell’assunzione del farmaco a determinati eventi oppure utilizzando richiami sonori collegati all’orologio o alle confezioni del farmaco;
• la motivazione del paziente ad assumere il farmaco - stressare il concetto dell’importanza del trattamento enfatizzando le possibili conseguenze della non-aderenza, parlare di aderenza al trattamento ad ogni visita e motivare il paziente affinché l’aderenza al trattamento entri a far parte stabilmente del suo stile di vita (4).
Ad ogni modo, qualsiasi intervento di supporto volto ad aumentare l’aderenza alla terapia dovrebbe essere considerato caso per caso e mirato ad affrontare preoccupazioni ed esigenze del singolo paziente (14).
L’impatto del trattamento antiepilettico sull’aderenza alla terapia
L’aderenza alla terapia è indispensabile per la buona gestione del paziente epilettico. Come per tutte le patologie croniche, anche in epilessia la corretta assunzione dei medicinali a lungo termine è strettamente correlata alla soddisfazione globale del paziente; in una visione più ampia, questa percezione dipende non soltanto dall’efficacia sulle crisi ma anche dall’impatto sullo stato funzionale e sulla qualità di vita (13).
Il FAE ideale deve innanzitutto mantenere un’efficacia e un favorevole profilo di tollerabilità a lungo termine, non deve presentare interazioni con altri farmaci ed avere un ampio spettro d’azione. Il profilo farmacocinetico del FAE ideale dovrebbe essere stabile, prevedibile e tale da consentire la monosomministrazione giornaliera.
Dati riportati in letteratura suggeriscono che i farmaci con un numero minore di somministrazioni giornaliere aiutano ad aumentare significativamente l’aderenza (Kruse et al 1991; Paes et al 1997; Claxton et al 2001; Cramer 2002) e che le modalità di assunzione possono condizionare la routine quotidiana (in particolare il fatto di dover assumere il farmaco con il cibo o meno) (12).
A questo proposito, la scelta della terapia dovrebbe prendere in considerazione la particolare situazione del paziente, in termini di stile di vita e di priorità, allo scopo di garantire capacità e volontà del paziente di mantenere l’aderenza a lungo termine (13).
Zonisamide nel trattamento delle crisi epilettiche parziali
Tra i farmaci antiepilettici di nuova generazione, la zonisamide è un derivato chimico del benzisossazolo, non correlato ad altri farmaci antiepilettici, che mostra una molteplicità di meccanismi d’azione, tra i quali l’inibizione dei canali del sodio e la riduzione delle correnti del calcio di tipo T (15). Nella recente pubblicazione dello studio long term di fase III, multicentrico, randomizzato, in doppio cieco, di non inferiorità, zonisamide, in monosomministrazione giornaliera, si è dimostrata non inferiore a carbamazepina a rilascio controllato, somministrata 2 volte al giorno, nel trattamento dei pazienti adulti con crisi parziali, in base ai criteri e ai margini di non inferiorità raccomandati dalla ILAE (16). Gli Autori concludono affermando che zonisamide in monoterapia si mantiene efficace e ben tollerata nel lungo periodo in adulti con crisi parziali di nuova diagnosi (16).
La monosomministrazione giornaliera di zonisamide in monoterapia è un fattore che può aumentare l’aderenza. Inoltre, la lunga emivita riduce il rischio di crisi da rimbalzo associate a dosi mancate (17).
Zonisamide non è un induttore né un inibitore degli isoenzimi epatici coinvolti nel metabolismo di molti farmaci oltre a non essere un auto-induttore, pertanto è ragionevole considerare ZNS come un antiepilettico con un buon profilo di farmacocinetica (17).
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