PROBIOTICI: DEFINIZIONE E TASSONOMIA 10 ANNI DOPO LE LINEE GUIDA FAO/WHO
Sommario
Tra il 2001 e il 2002 l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) hanno pubblicato in collaborazione una serie di documenti, con l’obiettivo di fornire delle linee guida per valutare la sicurezza e l’efficacia di batteri definiti generalmente “probiotici”. A 10 anni dalla pubblicazione di questi documenti è possibile valutare l’impatto che hanno avuto sia sul quadro normativo che sul mondo scientifico seppur, talvolta, accademico. L’impatto più rilevante riguarda la stessa definizione di “probiotici”, ora utilizzata sostanzialmente in tutto il mondo seppur, talvolta, in modo improprio. Nell’Unione Europea, le documentazioni FAO/WHO sono attualmente il riferimento per le valutazioni da parte dell’European Food Safety Authority (EFSA).
La necessità di una corretta identificazione tassonomica riconosciuta a livello internazionale è stata condivisa sia dai ricercatori che dagli enti regolatori, spronando lo sviluppo della ricerca in questo ambito. Dopo 10 anni può quindi essere fatta una valutazione positiva circa l’impatto di queste linee guida, seppur il loro uso risulta ancora parziale.
Introduzione
L’analisi delle principali banche dati bibliografiche, come PubMed, Scopus o ISI - Web of Science, indica che l’uso del termine “probiotico” ha subito un incremento costante negli ultimi 20 anni, raggiungendo un picco circa 10 anni fa; la frequenza di tale termine sul sito PubMed è stata di circa una dozzina di volte l’anno all’inizio degli anni ‘90, ha raggiunto le centinaia di volte all’inizio del 2000 e attualmente viene usata circa mille volte l’anno (dati da “www.gopubmed.org”).
Il termine “probiotico” deriva dal latino “pro” (a favore di) e dal greco “bios” (vita) ed è stato originariamente usato per definire sostanze in grado di sostenere la crescita di microrganismi (1). Successivamente questa definizione ha subito una modifica, identificando come probiotici gli integratori alimentari di origine microbica con effetti benefici sull’equilibrio intestinale degli animali (2). Negli ultimi tre decenni del secolo scorso c’è stato in Europa un grande interesse scientifico nel tentativo di sostituire nell’alimentazione degli animali i cosiddetti fattori di crescita, o antibiotici auxinici, con ingredienti che potessero evitare l’aumento della resistenza agli antibiotici, sia in ambito veterinario che umano. Successivamente Guarner e Schaafsma definirono i probiotici come: “microrganismi vivi, che se consumati in quantità adeguate, apportano un beneficio alla salute dell’ospite”(3). In questa definizione viene sostenuta l’idea di un uso benefico di questi batteri sulla salute dell’uomo, introducendo due concetti nuovi:
a) la necessità di fornire una certa quantità di cellule batteriche vitali per ottenere un effetto sulla salute;
b) l’effetto sulla salute non è più collegato ad un’azione sul microbiota intestinale.
Alla fine degli anni ’90 sono diventati disponibili, grazie alla letteratura scientifica, numerosi nuovi dati sui processi responsabili dei meccanismi probiotici, come la modulazione del sistema immune associato alla mucosa intestinale. Inoltre, l’Unione Europea ha cominciato a sostenere finanziariamente i progetti finalizzati a caratterizzare gli alimenti funzionali. Anche le aziende private hanno finanziato la ricerca per brevettare e sfruttare a livello industriale i batteri benefici, come principi attivi per latti fermentati o probiotici per prodotti lattiero-caseari. Questi alimenti hanno lo scopo di fornire uno specifico beneficio per la salute dei consumatori, non correlato al loro contenuto nutritivo.
Dal punto di vista normativo i probiotici rappresentano una zona grigia, per la mancanza di consenso internazionale sia sulla valutazione della loro sicurezza, sia sulla metodologia da utilizzare per definire la loro efficacia e fornire indicazioni precise sul loro effetto benefico ai consumatori.
All’inizio del 2000 la FAO e la WHO hanno intrapreso un processo di valutazione al fine di fornire le linee guida internazionali sugli aspetti funzionali e di sicurezza dei probiotici. Tale progetto ha prodotto i primi risultati nel 2001, quando una consultazione di esperti è stata convocata congiuntamente dalla FAO e dalla WHO a Cordoba, in Argentina (4), con l’obiettivo di discutere le proprietà nutrizionali, e gli effetti sulla salute, del latte in polvere con fermenti lattici vivi.
È degno di nota sottolineare che la riunione fu convocata su richiesta del governo argentino, al fine di risolvere una controversia commerciale. Il meeting ha fornito ulteriori evidenze sulla necessità di supportare i risultati riguardanti il processo innovativo in ambito alimentare e, nello specifico, nel nuovo contesto regolatorio. Al meeting organizzato dal Dr. M. Pineiro (FAO) e dal Dr. J. Schlundt (WHO) hanno partecipato undici esperti della materia provenienti da 10 Paesi. La missione del gruppo è stata quella di esaminare e valutare i dati scientifici disponibili sull’aggiunta di batteri lattici vivi al latte per il consumo umano, con particolare attenzione al latte in polvere integrato con fermenti lattici. Gli esperti sono stati poi invitati a discutere gli strumenti per la valutazione della sicurezza e dell’aspetto nutrizionale dei probiotici, nonché a valutare le basi scientifiche dell’efficacia, e le potenziali indicazioni sulla salute. Un secondo incontro della stessa delegazioni di esperti ha avuto luogo nel 2002 (5) a London (Ontario, Canada); i risultati dei meeting sono stati riassunti nelle “Linee guida per la valutazione dei probiotici negli alimenti”, in cui sono stati forniti alcuni dettagli circa gli strumenti da utilizzare per l’identificazione, la caratterizzazione e la valutazione di efficacia dei probiotici.
A 10 anni da questa pubblicazione è possibile valutarne l’impatto in ambito normativo e di ricerca.
Documento del 2001: definizioni
Il primo documento (4) viene sempre citato in merito alla definizione dei probiotici: “microrganismi vivi e vitali che, quando assunti in quantità adeguata, conferiscono un effetto benefico all’organismo ospite”. Tuttavia, poca o nessuna attenzione è generalmente rivolta alle righe prima e dopo questa definizione; questo documento fornisce due definizioni e non una sola: nelle righe successive, la definizione sopra citata viene limitata con una nota che afferma che “l’acqua è considerata come un alimento”. È necessario sottolineare che il gruppo di esperti riporta chiaramente che bisogna evitare il termine “agenti bioterapeutici e microrganismi benefici non usati negli alimenti”.
Si può quindi concludere che, mentre il termine “probiotico” può essere utilizzato per indicare l’uso di batteri benefici in generale, e non solo negli alimenti, le linee guida fornite dagli esperti trattano solo il loro uso negli alimenti.
Questa sottile ma estremamente rilevante differenza implica che il documento del 2001 si riferisce alla somministrazione di batteri benefici in “persone altrimenti sane”, e non comprende il loro uso come prodotti farmaceutici. Infatti, la Sezione 5,3.6 del documento si intitola: “Uso di probiotici in persone altrimenti sane” e afferma che “molti prodotti probiotici sono utilizzati dai consumatori stessi che si considerano essere altrimenti sani. Lo fanno sul presupposto che i probiotici possano contribuire alla loro salute e al loro benessere, e che possano potenzialmente ridurre il rischio a lungo termine di patologie del colon, del rene, del tratto respiratorio e del sistema cardiaco. Molti punti necessitano di essere chiariti in merito a tale assunto e alle sue implicazioni”.
La conclusione di questa Sezione afferma che “il gruppo di esperti vorrebbe avviare degli studi al fine di dare credibilità all’idea che i probiotici dovrebbero essere assunti regolarmente da uomini, donne e bambini sani”. Tale conclusione è stata ignorata sia dai ricercatori che dalle industrie che, negli anni successivi, hanno prodotto una notevole mole di dati, prevalentemente positivi, ottenuti in studi clinici condotti su pazienti, e non su persone sane.
I probiotici possono essere utilizzati per il trattamento di condizioni patologiche, ma in questo caso si dovrebbero applicare le norme farmaceutiche. Il termine “probiotico” è chiaramente utilizzato dagli esperti della FAO e della WHO per identificare i batteri benefici che non sono utilizzati con l’intento di trattare una qualsivoglia patologia, anche se il documento del 2001 fornisce un lungo elenco di risultati positivi ottenuti dal trattamento di condizioni patologiche. Questa differenza è fondamentale per le questioni legate alla valutazione della sicurezza: per gli ingredienti alimentari si rimanda alla lunga storia sull’uso sicuro, mentre per i farmaci è obbligatorio valutare la sicurezza attraverso un sistema complesso che comprende i test in vitro, la sperimentazione nei modelli animali ed infine nell’uomo.
È questo il motivo per cui le Sezioni dedicate alla sicurezza dei probiotici sono così brevi in entrambi i documenti FAO/WHO. Le due frasi chiave della Sezione 7,2 sono “Sicurezza negli esseri umani” e “Informazione acquisita finora dimostra che i lattobacilli hanno una lunga storia di utilizzo come probiotici senza rischio accertato per l’uomo, e questa rimane la migliore prova della loro sicurezza. Inoltre, nessuna proprietà patogena o virulenta è stata trovata per i lattobacilli, bifidobatteri o lattococchi”.
Il gruppo di esperti ha posto l’attenzione sulla necessità di valutare la presenza di resistenza agli antibiotici, una valutazione fatta a livello di ceppo, mentre la sicurezza globale sarebbe legata alla specie e alla sua lunga storia di uso sicuro negli alimenti per l’uomo sano. L’abuso ha causato, e sta ancora causando, problemi: i batteri considerati sicuri sulla base della loro presenza storica nei cibi sono stati utilizzati per il trattamento di pazienti affetti da gravi patologie, causando a volte rischi per la loro salute (5,6) e sollevando dubbi clinici in merito alla sicurezza dei probiotici e all’approccio della FAO/WHO nella valutazione della sicurezza stessa (6).
Tuttavia, l’utilizzo di batteri in condizioni patologiche non è lo scopo dei documenti FAO/WHO. Pertanto in questi documenti la sicurezza dei batteri è garantita sulla base di una lunga storia di uso sicuro nel cibo e quindi per un uso in persone sane, ma non nei pazienti; in quest’ultimo caso, la valutazione della sicurezza deve seguire la procedura che obbligatoriamente si applica ai farmaci. L’uso in pazienti senza una valutazione adeguata della sicurezza è quindi dovuto all’incomprensione o alla non-conoscenza da parte dei clinici di tutte le qualificate definizioni fornite dalla FAO/WHO.
Come ultima osservazione: sebbene il documento del 2001 abbia avuto un’ampia diffusione, a 10 anni dalla pubblicazione la sua conoscenza sembra essere limitata ad alcune specifiche frasi.
Le linee guida del 2002: rilevanza di una corretta tassonomia
Il secondo documento (7), molto più breve rispetto al primo, è incentrato sugli aspetti tecnici per una corretta identificazione tassonomica, nonché sulle procedure da utilizzare per la caratterizzazione e la dimostrazione dell’efficacia dei probiotici.
Questo documento fornisce uno schema che riassume le fasi necessarie al processo di qualificazione di “probiotico” per uno specifico microrganismo (Tabella 1).
Tabella 1. Fasi del processo da seguire per qualificare un batterio come probiotico secondo le linee guida della FAO/WHO del 2002 |
Il processo inizia con la corretta identificazione del batterio probiotico a livello di ceppo. Ciò è di primaria importanza, non solo perché le proprietà benefiche sono ceppo-specifiche, ma anche per poter consentire un’accurata sorveglianza post-marketing, e per gli studi epidemiologici al fine della sicurezza/efficacia.
È chiaro che è necessaria una corretta tassonomia al fine di garantire l’assegnazione del ceppo probiotico ad una specie di cui è noto un uso sicuro negli alimenti.
Per quanto riguarda l’efficacia, le linee guida del 2002 suggerivano solo una possibile eccezione all’effetto ceppo-correlato: la capacità ben riconosciuta di tutti i ceppi di S. thermophilus e L. delbrueckii ssp. bulgaricus di migliorare la digestione del lattosio nei soggetti intolleranti al lattosio, un effetto benefico non legato al ceppo, ma alla specie.
Questa eccezione è stata positivamente considerata dall’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) quando il gruppo NDA (gruppo di esperti scientifici sui prodotti dietetici, l’alimentazione e le allergie) ha emesso il proprio parere (8) a favore dell’uso delle indicazioni sulla salute circa l’efficacia delle colture di yogurt per ridurre l’intolleranza al lattosio.
Un’ulteriore applicazione delle linee guida elaborate dalla FAO/WHO è stata l’approvazione da parte dell’EFSA (9) dello schema di identificazione (Tabella 2) proposto in questo documento.
Tabella 2. Schema di identificazione proposto dalla FAO/WHO nel 2001 e nel 2002, e dall’EFSA nel 2008 |
Inoltre, è sorprendente notare come l’impatto di queste linee guida sul mondo industriale sembri essere molto limitato, nonostante siano state emanate nel 2002; infatti, un gran numero di richieste di indicazioni alla salute sul mercato europeo presentate 5 anni più tardi all’EFSA da parte di aziende alimentari, sono state respinte a causa di una caratterizzazione tassonomica insufficiente.
Infine, in una delle sue “Opinion”, l’EFSA ha richiesto espressamente un processo di identificazione analogo a quello proposto nel 2002 dalla FAO/WHO (9).
L’impatto: 10 anni dopo
I documenti FAO/WHO hanno avuto un impatto sia in ambito normativo che scientifico.
Diversi Paesi hanno adottato la definizione suggerita dalla commissione di esperti nei loro documenti normativi, nello specifico:
- Italia (Linee guida del Ministero della Salute 2005, revisionate nel 2011)
- Francia (dossier from French Agency for Food Safety - Agence Francaise de Sécuritè Sanitaire des Aliments, 2005)
- Canada (Probiotics in food - Department for Public Health of Canada/Health Canada, 2009).
- Argentina (modifica all’art. 1389 of the “Codigo Alimentario Argentino”, December 2011).
- India (Guidelines for evaluation of probiotics in food - Indian Council of Medical Research, Department of Health Research of the Ministry of Health & Family Welfare and Department of Biotechnology, Ministry of Science and Technology, New Delhi, 2011).
Ovviamente, 10 anni dopo, la definizione di probiotici elaborata da FAO/WHO è un termine di riferimento per gli alimenti e gli additivi alimentari, anche per quel che riguarda il campo normativo; anche la CODEX è stato coinvolta (10) nel designare lo standard dei probiotici, traendo vantaggio dalla definizione fornita dal gruppo di esperti 10 anni prima.
Ciò non è vero per il mondo accademico; infatti, seppur sempre citata, la parola “probiotico” e la relativa definizione della FAO/ WHO sono spesso usate in una cornice di studi clinici e di condizioni patologiche, senza una chiara conoscenza del “settore alimentare” in cui i documenti stessi sono stati inizialmente allocati.
Conclusioni
In conclusione, occorre prestare attenzione ai diversi concetti che sottolineano l’utilizzo di batteri benefici negli alimenti e nei farmaci.
I batteri aggiunti intenzionalmente agli alimenti al fine di fornire un beneficio per la salute (“probiotici” secondo i documenti FAO/WHO) hanno uno status sicuro semplicemente sulla base della lunga storia del loro uso nelle “persone sane”; gli stessi batteri (anche dello stesso ceppo) utilizzati in ambito clinico o in determinate condizioni patologiche (“bioterapie” secondo gli stessi documenti FAO/WHO) dovrebbero essere valutati per la loro sicurezza in queste diverse condizioni di utilizzo.
La valutazione negativa da parte dell’EFSA di centinaia di applicazioni ha sottolineato la necessità di seguire attentamente le indicazioni fornite da organismi di regolamentazione; questo è il caso in cui la ricerca deve essere finalizzata a fornire risultati utili per sostenere applicazioni innovative nel mondo industriale.
La “crisi del probiotico” causata dall’EFSA potrebbe indurre un positivo ripensamento nel piano di ricerca in questo settore, portando ad una netta differenziazione tra l’uso di questi batteri negli alimenti e l’uso come farmaci.
Una quantità impressionante di dati prodotti recentemente utilizzando l’approccio genomico, ha sottolineato l’importanza dell’intestino e del suo microbiota per la salute umana; l’idea di una manipolazione positiva delle funzioni del microbiota è divenuta più reale ed attrattiva.
Anche se la storia dei probiotici risale agli inizi del ’900 sembra più che possibile che il loro beneficio potenziale per gli esseri umani sia ancora da descrivere pienamente.
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