Lorenzo Castello, Alessandro Aiello, Furio Colivicchi
Ospedale San Filippo Neri, ASL RM1
L’insufficienza renale cronica costituisce un noto fattore di rischio per eventi tromboembolici ed emorragici in pazienti affetti da fibrillazione atriale (FA)[1]. La terapia anticoagulante orale con warfarin si è dimostrata efficace nella prevenzione dell’ictus in tali pazienti. Alcuni dati associano la terapia anticoagulante orale ad un beneficio relativo maggiore nei pazienti con insufficienza renale di grado lieve e moderato rispetto a soggetti con normale funzionalità renale[2,3]. Il quadro risulta meno chiaro nel caso di pazienti con insufficienza renale allo stadio terminale o in emodialisi a causa della scarsità di dati ad oggi a disposizione.
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Con l’avvento dei NAO è aumentata l’attenzione del clinico nei confronti del paziente affetto da disfunzione renale nel momento dell’avvio e nel follow-up di una terapia anticoagulante orale. Le quattro molecole ad oggi a disposizione (dabigatran, rivaroxaban, apixaban, edoxaban) presentano tutte una quota percentuale di escrezione renale: 85% per dabigatran, 33% per rivaroxaban, 27% per apixaban e 50% per edoxaban. Questo si traduce in differenti concentrazioni plasmatiche del farmaco a seconda del grado di funzionalità renale: quanto più ridotta è la funzionalità renale, tanto maggiore sarà l’AUC della concentrazione plasmatica e l’emivita del farmaco. Tuttavia, nel caso di rivaroxaban, l'emivita e l'AUC della concentrazione plasmatica non appaiono influenzate negativamente dalla presenza d'insufficienza renale tanto quanto gli altri NAO, soprattutto negli stadi più avanzati dela malattia renale[5] (Figura 1).
Nell’ambito dei NAO, la funzionalità renale dovrebbe essere valutata in base alla clearance della creatinina (CrCl) stimata utilizzando il metodo di Cockcroft-Gault, poiché questa risulta essere la formula utilizzata nella maggior parte degli studi clinici randomizzati su questi farmaci. La malattia renale è storicamente classificata in gradi in base al valore del GFR[6] (Tabella 1).
Si viene pertanto a delineare il seguente quesito: fino a quale valore di GFR è sicuro prescrivere un farmaco anticoagulante diretto il cui metabolismo è in parte renale? Tali farmaci sono genericamente controindicati nell’insufficienza renale avanzata mentre nei casi di insufficienza renale di grado lieve (stadio 2) o moderato (stadi 3A e 3B) la scelta del farmaco più adeguato e del dosaggio appropriato può risultare più complessa.
Una breve revisione della letteratura pubblicata negli ultimi anni può essere utile nel provare a rispondere a questa domanda.
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[11]. [12][5]
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Dopo aver presentato brevemente le evidenze ad oggi a disposizione, può risultare utile tentare di definire una strategia pratica di comportamento per il clinico (Tabella 2).
Nei casi di insufficienza renale di grado moderato (CrCl 30-59 ml/min): è raccomandato l’uso di un NAO come prima scelta rispetto al warfarin in base ai risultati dei quattro grandi trial sopra citati che hanno dimostrato almeno la non inferiorità dei NAO rispetto a warfarin in termini di efficacia e di sicurezza. Inoltre, a differenza del warfarin, l’uso di NAO non è associato ad un’aumentata calcificazione vascolare coronarica e periferica.
Riguardo alla scelta dell’anticoagulante in pazienti con CrCl <30 ml/min, è preferibile considerare l’uso di warfarin rispetto ai NAO a causa della maggiore esperienza clinica con gli antagonisti della vitamina K e del fatto che tali pazienti non sono stati inclusi negli studi randomizzati sugli anticoagulanti diretti. Nel caso invece di pazienti che non possano assumere warfarin, è ragionevole utilizzare un NAO il cui metabolismo sia meno dipendente dalla funzionalità renale.
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La funzionalità renale dovrebbe essere monitorata regolarmente in corso di terapia anticoagulante per applicare eventuali aggiustamenti posologici del NAO utilizzato in relazione soprattutto alla funzionalità renale, come suggerito dalle attuali linee guida ESC 2016 (Tabella 3). Allo stesso modo è opportuno valutare costantemente le eventuali interazioni farmacologiche sfavorevoli in grado di alterare la funzionalità renale o modificare l’escrezione renale degli anticoagulanti diretti.
[7-10,17][18-22]. [23][24]
In seguito a trapianto renale, la prescrizione di NAO dovrebbe essere guidata dalla stima del GFR residuo del rene trapiantato, in assenza di studi clinici randomizzati. Nelle attuali linee guida ESC si ribadisce inoltre l’importanza di valutare le eventuali interazioni farmacologiche sfavorevoli fra la terapia anticoagulante e quella immunosoppressiva.
Una trattazione a parte, nell’ambito delle indicazioni in relazione alla funzionalità renale, merita edoxaban. Una revisione del trial ENGAGE-AF da parte dell’FDA ha sollevato la questione dell’efficacia di edoxaban nei pazienti con CrCl normale-alta (>95 ml/min) che si traduce in una minore concentrazione plasmatica del farmaco. È stata descritta una minore efficacia nella prevenzione dell’ictus ischemico nei pazienti trattati con edoxaban rispetto a warfarin nei casi di CrCl >95 ml/min. Tuttavia non è noto se questo sia dovuto ad un sottodosaggio di edoxaban, ad una particolare efficacia di warfarin in questo sottogruppo di pazienti o ad una combinazione dei due fattori. Nella scheda tecnica europea di edoxaban si afferma genericamente: “Una tendenza verso una riduzione dell’efficacia a fronte di aumento della clearance della creatinina è stata osservata con edoxaban, rispetto a warfarin ben gestito. Pertanto, nei pazienti con FA non valvolare ed elevata clearance della creatinina edoxaban deve essere usato solo dopo un’attenta valutazione del rischio tromboembolico ed emorragico individuale”.
Conclusioni
Nei pazienti affetti da insufficienza renale, la scelta della terapia anticoagulante orale più adeguata (warfarin vs NAO) deve basarsi in primo luogo sui valori di funzionalità renale, espressa come CrCl. Nei casi di insufficienza renale di grado lieve-moderato con valori di eGFR ≥30 ml/min, le evidenze ad oggi a disposizione raccomandano l’avvio di una terapia anticoagulante preferendo un NAO al warfarin, a causa di un migliore profilo di efficacia e sicurezza e di un effetto protettivo nei confronti del processo di calcificazione vascolare. D’altro canto, nell’insufficienza renale di grado severo (eGFR <30 ml/min), le linee guida ESC non raccomandano l’uso dei NAO a causa dell’assenza di studi clinici randomizzati con tali farmaci. Nel caso di pazienti sottoposti ad emodialisi sono necessari studi ad hoc al fine di definire la migliore strategia terapeutica e spesso la terapia anticoagulante viene riservata solo ai soggetti a più elevato rischio tromboembolico.
Ancora una volta ci si trova di fronte ad un paradosso terapeutico per cui i pazienti a più elevato rischio tromboembolico ricevono meno frequentemente un’adeguata terapia anticoagulante a causa del coesistente elevato rischio emorragico che intimorisce il clinico.
Al fine di migliorare gli outcome dei pazienti affetti da insufficienza renale di grado severo o sottoposti ad emodialisi, è auspicabile che i NAO vengano studiati in un futuro prossimo direttamente su popolazioni che presentano tali caratteristiche: solo in questo modo si potranno ottenere delle evidenze forti a sostegno o meno del loro utilizzo anche nei casi di malattia renale agli stadi più avanzati (CrCl <30 ml/min). Per il momento è ragionevole limitare l’uso di tali farmaci nei soggetti con funzione renale normale o con disfunzione renale di grado lieve-moderato e ricorrere al warfarin nei casi invece di disfunzione renale di grado severo.
N. 22/2017 - MedTOPICS - Periodico Quindicinale
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La terapia anticoagulante orale con inibitori della vitamina K si associa però ad un’accelerata calcificazione vascolare, sia coronarica che periferica, dovuta all’inibizione dell’enzima MGP[4]. L’MGP è una proteina vitamina K dipendente che previene la calcificazione sistemica rimuovendo il fosfato di calcio nei tessuti. La disponibilità di nuovi farmaci anticoagulanti, quali gli anticoagulanti diretti (NAO), offre interessanti prospettive terapeutiche in questo contesto soprattutto nei pazienti affetti da nefropatia.
I principali trial clinici che hanno confrontato i NAO con il warfarin nell’ambito della FA prevedevano come criterio di esclusione una CrCl <30 ml/min (nel caso di RE-LY[7], ROCKET-AF[8], ed ENGAGE AF-TIMI 48[9]) mentre nel caso dello studio ARISTOTLE[10] su apixaban venivano esclusi pazienti con clearance della creatinina <25 ml/min o con creatininemia >2,5 mg/dl.
Sulla scorta di queste evidenze le precedenti linee guida ESC del 2012 sulla gestione della fibrillazione atriale controindicavano l’uso dei NAO nei pazienti con CrCl <30 ml/min (indicazione di classe III, livello di evidenza A)[11]. Successivamente la Società Europea di Aritmologia (EHRA) pubblicava nel 2013 una guida pratica all’uso dei NAO in cui si riporta come, in riferimento alle schede tecniche europee di questi farmaci, dabigatran sia approvato per valori di CrCl >30 ml/min, mentre apixaban e rivaroxaban fino a valori ≥15 ml/min (edoxaban allora non disponibile sul mercato)[12]. Tale documento, successivamente aggiornato nel 2015, ha confermato queste indicazioni aggiungendo alla lista degli anti-Xa edoxaban, approvato anch’esso in scheda tecnica europea fino a CrCl di 15 ml/min[5]. Tuttavia è stato chiaramente ribadito come, nel caso degli inibitori diretti del fattore Xa, non ci siano dati di efficacia e sicurezza nei casi di pazienti con CrCl <30 ml/min, motivo per il quale le linee guida ESC del 2012 controindicavano il loro utilizzo in tali pazienti. Questa apparente contraddizione tra le indicazioni dell’EMA e le evidenze derivate dai quattro studi clinici randomizzati sui NAO, deriva da pure simulazioni farmacocinetiche con estensione dei risultati anche ai casi di insufficienza renale di grado severo benché in assenza di evidenze cliniche derivanti da popolazioni reali. Sempre in base a simulazioni di farmacocinetica la FDA, ma non l’EMA, ha approvato negli Stati Uniti l’uso di dabigatran 75 mg b.i.d. nei casi di insufficienza renale di grado severo con CrCl pari a 15-30 ml/min.
Le ultime indicazioni disponibili sull’uso dei NAO nei pazienti con insufficienza renale sono contenute nelle linee guida ESC sulla fibrillazione atriale del 2016[13]. Rispetto alla precedente versione del 2012, in questo documento scompare del tutto l’indicazione di classe III con livello di evidenza A, per valori di CrCl <30 ml/min. Si fa riferimento alla sicurezza del warfarin in pazienti con CrCl >15 ml/min sulla scorta dei dati dello studio SPAF III[2] e di un ampio registro svedese mentre[15] in riferimento ai NAO nell’ambito dell’insufficienza renale di grado lieve-moderato viene citata una sola metanalisi[16] che ha dimostrato che la terapia con NAO è associata ad un tasso minore di ictus, embolia sistemica o sanguinamenti maggiori rispetto al warfarin. Le attuali linee guida non forniscono pertanto una risposta chiara riguardo l’efficacia e la sicurezza dei NAO nei pazienti con insufficienza renale di grado severo (CrCl <30 ml/min) e persiste la dualità tra i dati derivanti dai trial clinici e le indicazioni delle schede tecniche.
Le stesse considerazioni possono essere estese ai pazienti affetti da insufficienza renale allo stadio terminale (con GFR <15 ml/min), ma non in emodialisi, stimando accuratamente il rischio ed il beneficio derivanti dall’avvio di una terapia anticoagulante orale. Questa raccomandazione è basata sulle linee guida AHA/ACC/HRS del 2014 in cui si ribadisce una raccomandazione alla terapia anticoagulante in tali pazienti[16].
Nel caso dei pazienti affetti da insufficienza renale allo stadio terminale, sottoposti ad emodialisi, le evidenze sono molto scarse: non sono disponibili studi clinici randomizzati riguardo la terapia anticoagulante orale (warfarin o NAO) in tali soggetti[7-10,17]. Gli unici dati a disposizione derivano da analisi di database di pazienti in emodialisi in cui è stato descritto un rischio neutrale o aumentato di ictus con warfarin mentre dati danesi suggeriscono un beneficio della terapia anticoagulante orale nel caso della terapia sostitutiva renale[18-22]. Sono pertanto necessari ulteriori studi prima di definire la migliore gestione terapeutica di tali pazienti, come suggerito dalle attuali linee guida ESC del 2016. Nel contempo può essere ragionevole considerare l’avvio di una terapia anticoagulante orale soltanto nei pazienti ad elevato rischio tromboemobolico[23](in presenza ad esempio di trombosi endoauricolare nota, valvulopatia reumatica, pregressa ischemia cerebrale), stante l’alto rischio emorragico legato alla patologia renale, preferendo warfarin a causa della scarsità di evidenze sull’uso dei NAO in questa popolazione. Gli unici dati riguardo i NAO nell’emodialisi derivano da sole analisi di farmacocinetica. In assenza di dati clinici riguardo l’uso dei NAO in pazienti in emodialisi, tale classe di farmaci non è raccomandata al momento in questo contesto clinico. Un’alternativa non farmacologica all’avvio della terapia anticoagulante orale nei pazienti sottoposti ad emodialisi ad elevato rischio tromboembolico ed emorragico, potrebbe essere costituita dall’occlusione per via percutanea dell’auricola sinistra[24]. Tuttavia le attuali linee guida ESC raccomandano di proseguire la terapia anticoagulante nei pazienti a rischio di eventi cerebrovascolari anche dopo la chiusura dell’auricola, a meno di controindicazioni alla terapia anticoagulante a lungo termine.