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Prima e dopo la chirurgia, non ti scordare della superficie


Tutti gli interventi di chirurgia oculistica inducono alterazioni della superficie, cui possono fare seguito disturbi riferiti dal paziente; ciò si verifica con maggiore incidenza dopo l’intervento di cataratta, essendo quello più frequentemente eseguito.

Pertanto, la superficie oculare rappresenta un aspetto molto rilevante, per gli Oculisti che devono esaminarla, trattarne le eventuali alterazioni e tenerla in considerazione allorquando effettuano il primo atto della chirurgia oculistica, vale a dire la biometria, per evitare che un dry eye importante possa alterare i risultati di questo esame preparatorio all’intervento di cataratta, compromettendo i risultati della procedura chirurgica.


Il discomfort riferito in seguito all’intervento può essere differenziato in base a due diverse tempistiche in: discomfort oculare immediato, che il paziente appena operato può lamentare a causa di una lieve abrasione corneale, tendente a risolversi in tempi rapidi; discomfort oculare ritardato, descritto come una sensazione vaga, non sempre riferita alla zona della ferita, che insorge a distanza di almeno una settimana dall’intervento e tende a risolversi nella maggior parte dei casi dopo 3-4 mesi.


Pertanto, il percorso diagnostico del paziente candidato all’intervento deve iniziare con un’attenta anamnesi (ponendo domande utili a capire se sono presenti probabili alterazioni della superficie oculare) ed includere l’osservazione del movimento degli occhi, della frequenza dell’ammiccamento e delle palpebre a luce ambiente.

Quindi, si effettuano alcuni esami (Tabella 1), la cui esecuzione richiede poco tempo, che consentono di ottenere informazioni precise sulle condizioni della superficie oculare del paziente.

Mediante l’impiego della lampada a fessura, invitando il paziente a guardare leggermente in basso, si esaminano la cornea e la palpebra a contatto per valutare l’altezza del menisco lacrimale. Quindi, si ricercano le strie interferenziali, il cui riscontro rappresenta un indizio della presenza di alterazioni di tipo lipidico.

Il passo successivo consiste nella colorazione (staining) della superficie oculare con fluoresceina, fondamentale per stabilire il tempo di rottura del film lacrimale (break up time - BUT), che se troppo breve è da considerarsi patologico. Altre tecniche di staining utili ad evidenziare la presenza di patologie della superficie oculare sono quelle che utilizzano come coloranti il rosa bengala ed il verde di lissamina.

Quindi si effettuano l’esame del bordo palpebrale, di cui si valutano aspetti quali il profilo, l’assottigliamento, la vascolarizzazione e la presenza di teleangectasie, e la moderata spremitura delle ghiandole di Meibomio per verificare la consistenza e la quantità della componente lipidica del secreto, nonché il numero di ghiandole ostruite.

Infine, a completamento della valutazione della superficie oculare si esamina la superficie tarsale inferiore e quella superiore mediante eversione palpebrale, che non va effettuata prima di eseguire il BUT, in quanto quest’ultimo risulterebbe del tutto alterato da tale manovra.

Al termine di questi esami per valutazione dello stato della superficie oculare, la cui esecuzione richiede poco tempo, è possibile individuare tre tipologie di paziente:

  1. paziente sano, che non presenta né segni né sintomi, il quale dopo l’intervento, potrebbe riferire fastidi, i quali saranno con molta probabilità momentanei;
  2. paziente con dry eye, consapevole di essere affetto da tale patologia, che tenderà a considerare normale un lieve peggioramento della sua condizione in seguito all’intervento;
  3. paziente con segni di alterazione della superficie oculare asintomatico, il quale pone i maggiori problemi in quanto, ritenendosi sano, avrà maggiore difficoltà ad accettare i fastidi conseguenti all’intervento (che potranno protrarsi per più tempo, e in qualche caso, cronicizzarsi) ed attribuirà la loro comparsa alla procedura chirurgica, non essendo presenti prima.


Pertanto, quest’ultimo tipo di paziente, al quale il Chirurgo deve dedicare maggiore attenzione e più tempo nella fase preoperatoria, dovrà essere attentamente studiato, adeguatamente informato ed opportunamente preparato. In tal senso, può essere sicuramente utile l’impiego dell’acido ialuronico o comunque di un sostituto lacrimale di buona qualità per proteggere la superficie oculare.


Un altro elemento correlato all’insorgenza di discomfort nel post-operatorio è l’incisione, cui fa seguito sempre una diastasi (che nei giorni seguenti tende a chiudersi), ma quando non eseguita correttamente può lasciare delle aree di irregolarità che possono causare qualche fastidio al paziente. Peraltro, l’incisione ha un ruolo importante oltre che nel discomfort immediato anche in quello ritardato, in particolare nei pazienti anziani (ultrasettantenni), che hanno tempi di recupero più lunghi, per cui in seguito ad un’incisione di 2 mm si crea sulla cornea un’area di iperestesia responsabile per molto tempo di sensazioni sgradevoli.

In conclusione, nel pre-operatorio al paziente che non presenta segni di infiammazione, infezione o altre alterazioni può essere di aiuto una buona lacrima artificiale. Nel post-operatorio, in base alla mia pratica clinica, un possibile approccio potrebbe essere come segue: oltre all’applicazione di un guscio di plastica traforato protettivo (da preferire alla benda per coprire l’occhio), si prescrive una terapia di associazione steroide più antibiotico per 7-10 giorni, quindi solo cortisonico per una ventina di giorni, il FANS nei casi selezionati, ma quasi sempre per la prevenzione dell’edema maculare cistoide, ed il sostituto lacrimale per almeno tre mesi.

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