Fibrillazione atriale e terapia con anticoagulanti: NAO vs AVK
Claudio Coarelli
Cardiologo - Roma
La fibrillazione atriale (FA) è un’aritmia molto diffusa nella popolazione generale; la sua prevalenza cresce con l’età, con conseguente aggravio di costi socio-sanitari (1,3).
La presenza di FA si associa ad un rischio di ictus del 4-5%/anno: 5 volte superiore a quello di soggetti che non presentano l’aritmia (4,5).
(5-7)
Complessivamente gli studi registrativi hanno attestato la “non inferiorità” dei NAO rispetto al Warfarin nella riduzione del rischio tromboembolico nella FA non valvolare (FAnv) (Tabella 1) (5).
In particolare, i NAO hanno indotto, rispetto al Walfarin (5):
Riguardo agli endpoint di sicurezza, i NAO si sono dimostrati associati ad un ridotto rischio di eventi emorragici cerebrali (5). Il trattamento con NAO riduce il rischio di una emorragia cerebrale durante terapia anticoagulante del 52% (RR 0.48, IC 95% 0.39-0.59; p<0.0001).
Oltre al confronto dei dati di evidenza disponibili e pur ricordando il ruolo importante che gli AVK (e in particolare il Warfarin) hanno rivestito nel controllo del rischio tromboembolico negli anni passati, occorre ricordare che il trattamento con Warfarin è associato a problematiche cliniche non trascurabili (5).
Le potenziali interazioni con alimenti e farmaci che interferiscono con il metabolismo epatico di questo antagonista della vitamina K determinano il rischio di effetti collaterali caratterizzati da significativa morbilità (rischio di ricovero) (8) e imprevedibilità di risposta. Quest’ultima si somma alla stretta finestra terapeutica (con conseguente aumentato rischio emorragico o trombotico per INR non in range terapeutico) e rende così necessari il monitoraggio periodico dell’INR e frequenti aggiustamenti posologici, specie all’inizio del trattamento (9). Che sia difficile mantenere l’INR all’interno del range richiesto, lo dimostra poi una metanalisi di studi con coinvolgimento di più di 20000 pazienti in terapia con Warfarin. Secondo i dati di questa analisi, il tempo in range terapeutico (TTR) medio sarebbe del 55% (10) .
Infine la terapia con Warfarin è caratterizzata da un tempo di latenza elevato, con effetti che si protraggono a lungo (possibili fenomeni di “resistenza”) (5).
Infine, dato più rilevante, il Warfarin si associa ad un incremento del rischio di emorragie, in particolare intracraniche (9) ed è sorprendente, a tale riguardo, rilevare che, secondo i dati pubblicati, circa i due terzi dei pazienti trattati con Warfarin con eventi emorragici intracranici ha un INR nel range terapeutico (5).
I NAO e il “fenotipo fragile”
Dal punto di vista del meccanismo d’azione si distinguono due sottoclassi di NAO (6, 7): inibitori diretti della trombina (Dabigatran) e inibitori diretti del fattore X attivato (FXa) (Rivaroxaban, Apixaban ed Edoxaban). Tutti i NAO presentano tuttavia alcuni caratteri peculiari (5):
La stabilità farmacocinetica e farmacodinamica dei NAO rende non necessaria (anzi inopportuna e potenzialmente confondente) la verifica dell’assetto coagulativo.
Infatti, i risultati dei comuni test della coagulazione non sono utili alla valutazione e al monitoraggio dell’effetto dei singoli farmaci (5).
In base alle raccomandazioni delle ultime linee guida della ESC (11), supportate dalle evidenze disponibili, i NAO sono da considerarsi il trattamento di prima scelta nella prevenzione dell’ictus nei pazienti con FAnv.
In effetti gli studi registrativi e le evidenze della pratica clinica reale (“real life”) hanno tutti confermato il buon profilo di efficacia e sicurezza di questi farmaci.
Di particolare interesse sono i vantaggi dei NAO nei sottogruppi di pazienti cosiddetti “fragili”, di frequente riscontro nella pratica clinica quotidiana.
Il “fenotipo fragile” è contraddistinto dalla presenza di disfunzioni e condizioni patologiche che determinano una riduzione delle riserve funzionali, aumentando la morbilità complessiva del paziente (rischio di ulteriori patologie, di complicazioni e di eventi avversi secondari alle cure mediche).
Le alterazioni funzionali diventano progressivamente più rilevanti con l’avanzare dell’età, per cui il “fenotipo fragile” più comune è quello identificato nell’anziano, considerato generalmente un soggetto più suscettibile alla malattia e più vulnerabile ai suoi esiti. Oltre all’età, rappresentano fattori di “fragilità” alcune comorbidità, quali lo scompenso cardiaco, il diabete mellito e l’insufficienza renale.
NAO nel “paziente fragile”: focus sul confronto Rivaroxaban vs Warfarin
I dati su efficacia e sicurezza del nuovo anticoagulante orale Rivaroxaban in pazienti fragili con FA derivano per lo più da analisi di sottogruppo pre-specificate del trial ROCKET-AF (12-18).
In linea con i dati del trial sulla popolazione generale, Rivaroxaban rispetto a Warfarin è stato associato ad efficacia simile sia nei pazienti anziani che in quelli più giovani, con un trend verso la riduzione dell’endpoint primario composito di stroke ed embolismo sistemico nel sottogruppo di pazienti anziani.
L’incidenza di sanguinamenti fatali è risultata significativamente ridotta con Rivaroxaban rispetto a Warfarin nei soggetti in età avanzata (12).
Per quanto riguarda i pazienti con insufficienza renale, gli endpoint di efficacia sono risultati tutti a favore di Rivaroxaban rispetto a Warfarin, sia nei pazienti con insufficienza moderata, ai quali è stata prescritto il dosaggio ridotto di 15 mg, sia in quelli con clearance della creatinina superiore a 50 ml/min, che hanno invece ricevuto il dosaggio di 20 mg (13).
I sanguinamenti in organi critici e quelli fatali sono stati significativamente ridotti da Rivaroxaban rispetto a Warfarin a prescindere dalla funzionalità renale (Figura 1) (13).
Un’altra condizione clinica di “fragilità” è la presenza di diabete mellito. L’efficacia di Rivaroxaban vs Warfarin nella prevenzione dello stroke e dell’embolismo sistemico è stata simile sia nei pazienti diabetici che in quelli non-diabetici; il trend verso migliori risultati con Rivaroxaban è risultato più evidente nel sottogruppo di pazienti diabetici, probabilmente in conseguenza del loro più elevato rischio di base (15).
Di particolare rilevanza è la significativa riduzione della mortalità vascolare con Rivaroxaban rispetto a Warfarin nei pazienti “fragili” di questo sottogruppo (2,83% vs 3,65% pazienti/anno) (15).
I risultati clinici di Rivaroxaban vs Warfarin sono stati valutati anche nei pazienti con scompenso cardiaco del trial ROCKET AF.
Nonostante il più elevato rischio medio dei pazienti del gruppo trattato con il NAO, l’effetto sulla prevenzione dello stroke e dell’embolismo sistemico con Rivaroxaban è stato simile a quello con Warfarin (Figura 2), a prescindere dalla presenza dello scompenso cardiaco (15,17).
Non è stato riportato un eccesso di sanguinamenti con Rivaroxaban rispetto a Warfarin nei pazienti con e senza scompenso cardiaco (17). Tali risultati di efficacia e sicurezza sono stati consistenti nei diversi sottogruppi di pazienti con scompenso cardiaco, quindi a prescindere dalla frazione di eiezione ventricolare, dalla classe funzionale NYHA e dai livelli di score CHADS2.
ConclusionE
L’efficacia e la sicurezza dei NAO è stata ampiamente dimostrata dagli studi registrativi e confermata dalle evidenze emerse dalle ricerche in “real life”. In confronto con AVK, i NAO assicurano efficacia e sicurezza pari o superiore e una maggiore maneggevolezza e praticità di trattamento, senza la necessità del monitoraggio continuo della coagulazione. Anche nei pazienti “fragili” i NAO, come Rivaroxaban, mantengono un buon profilo di sicurezza contribuendo alla significativa riduzione degli eventi tromboembolici in questi soggetti particolarmente a rischio.
Al fine di migliorare gli outcome dei pazienti affetti da insufficienza renale di grado severo o sottoposti ad emodialisi, è auspicabile che i NAO vengano studiati in un futuro prossimo direttamente su popolazioni che presentano tali caratteristiche: solo in questo modo si potranno ottenere delle evidenze forti a sostegno o meno del loro utilizzo anche nei casi di malattia renale agli stadi più avanzati (CrCl <30 ml/min). Per il momento è ragionevole limitare l’uso di tali farmaci nei soggetti con funzione renale normale o con disfunzione renale di grado lieve-moderato e ricorrere al warfarin nei casi invece di disfunzione renale di grado severo.
N. 06/2018 - MedTOPICS - Periodico Quindicinale
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