Introduzione

Negli ultimi anni è stato registrato un significativo progresso delle conoscenze sulla vitamina D e sulle sue azioni biologiche. Recettori per la vitamina D (VDR) sono stati identificati in molti tipi di tessuti e cellule (1). Oggi è noto che la vitamina D, oltre al ruolo fondamentale nel mantenimento dell’omeostasi minerale, svolge un’ampia varietà di effetti, dalla regolazione della funzione immune ad effetti su muscoli scheletrici, cuore, vasi, cute, riproduzione e crescita e differenziazione di molti tipi cellulari (2). Il deficit della vitamina D è stato associato a numerose condizioni quali rachitismo nel bambino ed osteomalacia negli adulti, aumento del rischio di fratture, cadute, cancro, malattie autoimmuni, infezioni, diabete tipo 1 e tipo 2, ipertensione, cardiopatie e altre patologie come ad es. sclerosi multipla (1).

La vitamina D è un proormone steroideo sintetizzato nella cute in seguito all’esposizione alla luce solare e più specificamente ai raggi ultravioletti B (UVB) (3). Il termine vitamina D in realtà non indica una singola molecola, ma sistema ormonale complesso di cui fanno parte diversi metaboliti, di cui i principali sono la vitamina D3 (colecalciferolo), che deriva dalla trasformazione del 7- deidrocolesterolo sottocutaneo da parte degli UVB, e la vitamina D2 (ergocalciferolo).  Solo il 15% della vitamina D è introdotta con la dieta (la vitamina D3 è contenuta in pesce grasso, tuorlo d’uovo, latte e formaggi, la vitamina D2 deriva dalla trasformazione dell’ergosterolo contenuto in alcuni lieviti e alimenti di origine vegetale) (5).

La vitamina D, sia derivata dalla sintesi a livello cutaneo sia introdotta con alimenti/supplementi, è trasportata al tessuto adiposo dove è immagazzinata o al fegato dove è sottoposta al primo step di attivazione, cioè l’idrossilazione a 25-idrossi-vitamina D, che rappresenta la principale forma circolante di vitamina D ed è misurata per valutare lo status vitaminico D di un soggetto (5).

Nel secondo step di attivazione, a livello renale, la 25-idrossi-vitamina D è metabolizzata dall’enzima mitocondriale 25-idrossi-vitamina D-1α-idrossilasi (CYP27B1) nella forma attiva 1.25-diidrossi-vitamina D [1.25(OH)2D3] (Figura 1).

 

Figura 1. Fonti e metabolismo della vitamina D.

 

Tratta da Girgis et al. Endocrine Reviews 2013; 34(1):33-8.

 

La 25-idrossilazione epatica può avvenire anche in condizioni di insufficienza epatica cronica ed è compromessa solo nello stadio terminale dell’insufficienza epatica; inoltre, questo primo step non è sottoposto a regolazione o feedback di controllo. Al contrario, il secondo step, cioè la 1α-idrossilazione renale, è sottoposto a una stretta regolazione sia positiva (da parte di parotormone, ipocalcemia e ipofosfatemia) sia negativa (da parte di iperfosfatemia, Fibroblast Growth Factor 23 [FGF-23] e della stessa 1.25(OH)2D3) (6).

Inoltre, l’attività della 1α-idrossilasi renale è ridotta anche negli anziani, in patologie cardiovascolari (ipertensione, arteriosclerosi, scompenso cardiaco), nelle malattie infiammatorie croniche (artrite reumatoide, malattia di Crohn, broncopneumopatia cronica ostruttiva) e nel diabete di tipo 1 (7).

Alfacalcidolo (1α-OH-D3) è un analogo sintetico della vitamina D attiva (1.25-diidrossivitamina

D o calcitriolo) già idrossilato a livello della posizione cruciale 1α. Pertanto, dopo somministrazione orale ed assorbimento intestinale, l’alfacalcidolo per essere attivato è sottoposto automaticamente ed esclusivamente a 25-idrossilazione epatica bypassando lo step di attivazione renale (8).

 

Alfacalcidolo: efficacia a livello scheletrico

L’efficacia del colecalciferolo rispetto agli analoghi della vitamina D attiva nell’osteoporosi è ancora discussa (7). A causa della regolazione a feedback negativo dello step renale di attivazione, il colecalciferolo è efficace solo in pazienti con deficit vitaminico; pertanto, l’effetto terapeutico è evidente soprattutto all’inizio dell’intervento, se i pazienti presentano ipovitaminosi D (9).

Nei pazienti con livelli vitaminici normali gli analoghi della vitamina D attiva offrono maggiori possibilità di ottenere gli effetti terapeutici su ossa, muscoli e altri organi bersaglio (7).

Alfacalcidolo, profarmaco della vitamina D attiva, svolge attività terapeutica antiosteoporotica indipendentemente dallo status vitaminico D (8).

Gli analoghi della vitamina D, inoltre, sono stati sviluppati per superare i problemi associati all’utilizzo della vitamina D nativa, quali tendenza a indurre ipercalcemia, soppressione del turnover osseo e iperfosfatemia (2).

L’utilizzo di alfacalcidolo non si è associato a livelli sierici pericolosi di tale profarmaco, in quanto la vitamina D attiva si lega direttamente ai recettori degli organi bersaglio, bypassando il rene (7).

Numerosi studi clinici hanno dimostrato che alfacalcidolo ostacola l’accelerato turnover osseo nell’osteoporosi, mantiene o aumenta la BMD nelle donne in post menopausa e previene le fratture osteoporotiche del rachide e dell’anca (10).

 

Riduzione del turnover osseo nell’osteoporosi

Il trattamento con alfacalcidolo 1 μg più calcio 500 mg si è dimostrato notevolmente superiore a quello con colecalciferolo 1000 UI più calcio 500 mg in termini di incremento della massa ossea e riduzione del rischio di frattura in uno studio (Schacht et al. 2005) su 204 pazienti con osteoporosi in trattamento a lungo termine con glucocorticoidi.

Per quanto riguarda in particolare la BMD, a livello del rachide lombare alfacalcidolo ha determinato un incremento mediano del 2.4% vs una riduzione dello 0.8% (p<0.0001) osservata con colecalciferolo. A livello del collo femorale, alfacalcidolo ha fatto registrare un più elevato incremento mediano della BMD rispetto a colecalciferolo (rispettivamente,1.2% vs 0.8%; p<0.006) (7).

L’efficacia significativamente superiore di alfacalcidolo rispetto a colecalciferolo in termini di incremento della BMD è confermata dai risultati di uno studio (Ringe et al. 2013) condotto su una popolazione di soli maschi con osteoporosi (n=214), in cui i pazienti con prevalenti fratture vertebrali avevano ricevuto una volta al giorno alfacalcidolo 1 μg più calcio 500 mg e quelli senza prevalenti fratture vertebrali vitamina D 1000 UI più calcio 1000 mg. Dopo 2 anni, i pazienti del gruppo alfacalcidolo hanno mostrato un significativo incremento della BMD a livello del rachide lombare (+3.2% vs +0.8% con vitamina D) e dell’anca (+1.9% vs -0.9% con vitamina D) (Figura 2) (9).

Inoltre, in tutti gli studi che hanno preso in considerazione l’efficacia sulla perdita di massa ossea, alfacalcidolo 1 μg/die è risultato efficace e sicuro nel trattamento a lungo termine per il limitato rischio di ipercalcemia (11).

 

Figura 2. Variazioni della percentuale media della BMD durante il trattamento con alfacalcidolo o vitamina D (p<0.0001).

 

Efficacia sulla massa ossea indipendente dalla funzione renale

Alfacalcidolo aumenta la massa ossea indipendentemente dalla funzione renale, il che risulta vantaggioso in particolare negli anziani con funzione renale ridotta (10).

Riduzione delle cadute e fratture

Alfacalcidolo esercita un duplice effetto sul rischio di cadute e fratture, influenzando sia il turnover osseo sia la forza muscolare (9). Nel studio di Ringe et al. già ricordato (9) è stata osservata la riduzione delle cadute da un numero medio di precedenti cadute per paziente-anno pari a 0.24 nel gruppo alfacalcidolo e a 0.21 nel gruppo colecalciferolo, ad un numero significativamente minore con alfacalcidolo rispetto a colecalciferolo (rispettivamente, 0.09 vs 0.18; p=0.04). A due anni, nel gruppo alfacalcidolo sono state documentate 18 nuove cadute rispetto alle 38 osservate nel gruppo colecalciferolo (p=0.040). Il trattamento con alfacalcidolo, inoltre, si è associato ad un’incidenza significativamente minore di fratture vertebrali e non vertebrali rispetto a quella osservata con colecalciferolo (Figura 3).

 

Figura 3. Nuove fratture vertebrali e non vertebrali durante lo studio (tutte le fratture dopo 2 anni: 37 versus 69; p<0.003). *p=0.035; **p=0.041.

 

Una significativa riduzione, con alfacalcidolo rispetto a colecalciferolo, del rischio di fratture vertebrali (-61%) e di tutte le fratture, vertebrali e non vertebrali (-52%), è stata osservata anche nello studio precedentemente descritto di Schacht et al. (7).

 

Aumento dell’efficacia dei bifosfonati

Una metanalisi di tredici studi randomizzati controllati che hanno incluso 3710 pazienti con osteoporosi ha dimostrato che la terapia di combinazione con alendronato più alfacalcidolo è significativamente più efficace nella prevenzione delle fratture ossee rispetto alla monoterapia con alendronato (OR=0.53, 95% CI: 0.19-0.95) o alfacalcidolo (OR=0.25, 95% CI: 0.08-0.49) (12).

In uno studio recentemente pubblicato su 53 donne con osteoporosi menopausale non trattata, ibandronato (1.0 mg una volta al mese) più alfacalcidolo 1.0 μg/die) ha determinato un miglioramento più sostanziale di BMD e marker del turnover osseo rispetto alla monoterapia con ibandronato (1.0 mg una volta al mese) o con ibandronato piu alfacalcidolo, rappresentando pertanto un’efficace combinazione farmacologica (13).

 

Alfacalcidolo: efficacia a livello muscolare

In uno studio che ha valutato l’effetto di un trattamento di 6 mesi con alfacalcidolo 1 μg/die su potenza muscolare, funzione muscolare, equilibrio e paura delle cadute in 2097 pazienti anziani con ridotta massa ossea (75% affetti da osteoporosi), ridotta clearance della creatinina

(70% con CrCl <65 ml/min), l’81% dei quali con aumentato rischio di cadute, è stato dimostrato un significativo miglioramento del rendimento in due su tre test di valutazione di funzione e potenza muscolare già dopo 3 mesi di trattamento, con un ulteriore incremento dopo la fine del trattamento.  Inoltre, la percentuale di pazienti in grado di eseguire il test di valutazione dell’equilibrio (TGT) è aumentata dal 36.0% osservato al basale al 58.6% alla fine dello studio (p<0.0001) e la paura di cadere si è ridotta nel 74.4% dei pazienti (14).

I risultati di uno studio che ha valutato l’effetto aggiuntivo di alfacalcidolo (1 μg/die) sull’aumento della forza muscolare ottenuto con esercizi specifici in donne con osteoporosi menopausale, randomizzate al trattamento con bifosfonato o con bifosfonato più alfacalcidolo, con somministrazione di supplementi di calcio (200 mg/die) in entrambi i gruppi, suggeriscono che alfacalcidolo aumenta significativamente gli effetti benefici degli esercizi in pazienti di età inferiore a 68 anni (15).

È stato riportato in letteratura che il trattamento con alfacalcidolo aumenta il numero e il diametro delle fibre di tipo II, le fibre muscolari di cui nella sarcopenia si osserva la maggiore perdita.

In uno studio retrospettivo che ha valutato l’effetto di alfacalcidolo sulla massa muscolare in pazienti con osteoporosi, divisi in un gruppo trattato con l’analogo della vitamina D e un gruppo controllo non trattato, alfacalcidolo ha mantenuto la massa muscolare nei pazienti con massa muscolare normale e l’ha aumentata significativamente nei pazienti con ridotta massa muscolare. Tali risultati suggeriscono che alfacalcidolo potrebbe essere efficace nei pazienti con riduzione della massa muscolare (16).

 

Evidenze da alcune nuove applicazioni terapeutiche

  • Rene In uno studio su pazienti con nefropatia diabetica che ha confrontato l’efficacia di alfacalcidolo (0.25 μg/die per sei mesi) vs trattamento convenzionale in termini di miglioramento della funzione endoteliale microvascolare, della rigidità arteriosa e della pressione arteriosa, solo con alfacalcidolo sono stati osservati un miglioramento della pressione diastolica centrale (p=0.027) e la tendenza ad un miglioramento dell’augmentation index (p=0.063), della velocità dell’onda sfigmica (p=0.075) e della pressione sistolica (p=0.088) (17).
  • Diabete e sindrome metabolica Uno studio su 61 soggetti con DM1 insorto da meno di 8 settimane (età 8-15 anni) ha confermato che alfacalcidolo (0.25 μg/die) è in grado di preservare la funzione delle cellule beta pancreatiche in bambini e adolescenti con diabete di recente insorgenza, in particolare di sesso maschile (18).
  • Asma In uno studio che ha valutato l’effetto della somministrazione di alfacalcidolo sulla funzione polmonare in adulti con asma, randomizzati al solo trattamento standard antiasmatico o a ricevere in aggiunta alfacalcidolo 1 μ/die per 4 mesi, il trattamento con alfacalcidolo ha migliorato la funzione polmonare e ridotto la severità della malattia, indipendentemente dalla presenza di deficit vitaminico (19).
  • Sclerosi multipla I risultati di uno studio randomizzato, placebo-controllato, in cui sono stati inclusi 158 pazienti con sclerosi multipla che riferivano significativo senso di stanchezza, indicano che alfacalcidolo è una strategia di trattamento sicura ed efficace per ridurre senso di stanchezza e migliorare la qualità di vita (20).
  • Artropatia psoriasica In pazienti con artropatia psoriasica, il trattamento con alfacalcidolo (0.25 μg 2 volte al giorno per 6 mesi) ha dimostrato un effetto immunomodulatorio, indicato da una temporanea riduzione delle risposte immuni tipo 1 e da una riduzione continua dell’attività della malattia (21).
  • Ipoparatiroidismo Efficacia e sicurezza di alfacalcidolo in pazienti con ipoparatiroidismo sono state dimostrate in vari studi.  Alfacalcidolo si dimostra efficace e sicuro anche nel trattamento a lungo termine in tale condizione. In particolare, in uno studio che ha valutato l’effetto sulla funzione renale della somministrazione a lungo termine di alfacalcidolo ad un dosaggio medio di 1 μg/die (range 0.5-2.5 μg/die), un significativo effetto sul calcio sierico e urinario è stato ottenuto già nella prima settimana di trattamento ed è stato mantenuto durante un follow-up di 2040 paziente-mesi. Nel follow-up non è stata registrata alcuna modificazione dei livelli sierici di creatinina (22).

 

Conclusioni

 

Alfacalcidolo (1α-OH-D3) è un analogo sintetico della vitamina D attiva (1,25(OH)2D3 o calcitriolo) già idrossilato a livello della posizione cruciale 1α e, pertanto, bypassa lo step di attivazione renale (8).

Alfacalcidolo ostacola l’accelerato turnover osseo nell’osteoporosi, mantiene o aumenta la densità minerale ossea nelle donne in post menopausa e previene le fratture osteoporotiche del rachide e dell’anca (10).

Alfacalcidolo svolge attività terapeutica antiosteoporotica indipendentemente dallo status vitaminico D (8).

Alfacalcidolo mostra un duplice effetto su rischio di cadute e fratture, influenzando sia il turnover osseo sia la forza muscolare (9).

Alfacalcidolo aumenta potenza, funzione muscolare ed equilibrio e riduce il timore di cadute (14).

Alfacalcidolo si dimostra efficace e sicuro nel trattamento dei pazienti con ipoparatiroidismo (22).

Vari studi clinici indicano, inoltre, la possibilità di un vantaggioso impiego di alfacalcidolo anche in alcuni dei nuovi campi di applicazione terapeutica della vitamina D (17-21).

 

BIBLIOGRAFIA >>

 

N. 07/2018 - MedTOPICS - Periodico Quindicinale

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Introduzione

Negli ultimi anni è stato registrato un significativo progresso delle conoscenze sulla vitamina D e sulle sue azioni biologiche. Recettori per la vitamina D (VDR) sono stati identificati in molti tipi di tessuti e cellule (1). Oggi è noto che la vitamina D, oltre al ruolo fondamentale nel mantenimento dell’omeostasi minerale, svolge un’ampia varietà di effetti, dalla regolazione della funzione immune ad effetti su muscoli scheletrici, cuore, vasi, cute, riproduzione e crescita e differenziazione di molti tipi cellulari (2). Il deficit della vitamina D è stato associato a numerose condizioni quali rachitismo nel bambino ed osteomalacia negli adulti, aumento del rischio di fratture, cadute, cancro, malattie autoimmuni, infezioni, diabete tipo 1 e tipo 2, ipertensione, cardiopatie e altre patologie come ad es. sclerosi multipla (1).

La vitamina D è un proormone steroideo sintetizzato nella cute in seguito all’esposizione alla luce solare e più specificamente ai raggi ultravioletti B (UVB) (3). Il termine vitamina D in realtà non indica una singola molecola, ma sistema ormonale complesso di cui fanno parte diversi metaboliti, di cui i principali sono la vitamina D3 (colecalciferolo), che deriva dalla trasformazione del 7- deidrocolesterolo sottocutaneo da parte degli UVB, e la vitamina D2 (ergocalciferolo).  Solo il 15% della vitamina D è introdotta con la dieta (la vitamina D3 è contenuta in pesce grasso, tuorlo d’uovo, latte e formaggi, la vitamina D2 deriva dalla trasformazione dell’ergosterolo contenuto in alcuni lieviti e alimenti di origine vegetale) (5).

La vitamina D, sia derivata dalla sintesi a livello cutaneo sia introdotta con alimenti/supplementi, è trasportata al tessuto adiposo dove è immagazzinata o al fegato dove è sottoposta al primo step di attivazione, cioè l’idrossilazione a 25-idrossi-vitamina D, che rappresenta la principale forma circolante di vitamina D ed è misurata per valutare lo status vitaminico D di un soggetto (5).

Nel secondo step di attivazione, a livello renale, la 25-idrossi-vitamina D è metabolizzata dall’enzima mitocondriale 25-idrossi-vitamina D-1α-idrossilasi (CYP27B1) nella forma attiva 1.25-diidrossi-vitamina D [1.25(OH)2D3] (Figura 1).

 

Figura 1. Fonti e metabolismo della vitamina D.

 

Tratta da Girgis et al. Endocrine Reviews 2013; 34(1):33-8.

 

La 25-idrossilazione epatica può avvenire anche in condizioni di insufficienza epatica cronica ed è compromessa solo nello stadio terminale dell’insufficienza epatica; inoltre, questo primo step non è sottoposto a regolazione o feedback di controllo. Al contrario, il secondo step, cioè la 1α-idrossilazione renale, è sottoposto a una stretta regolazione sia positiva (da parte di parotormone, ipocalcemia e ipofosfatemia) sia negativa (da parte di iperfosfatemia, Fibroblast Growth Factor 23 [FGF-23] e della stessa 1.25(OH)2D3) (6).

Inoltre, l’attività della 1α-idrossilasi renale è ridotta anche negli anziani, in patologie cardiovascolari (ipertensione, arteriosclerosi, scompenso cardiaco), nelle malattie infiammatorie croniche (artrite reumatoide, malattia di Crohn, broncopneumopatia cronica ostruttiva) e nel diabete di tipo 1 (7).

Alfacalcidolo (1α-OH-D3) è un analogo sintetico della vitamina D attiva (1.25-diidrossivitamina

D o calcitriolo) già idrossilato a livello della posizione cruciale 1α. Pertanto, dopo somministrazione orale ed assorbimento intestinale, l’alfacalcidolo per essere attivato è sottoposto automaticamente ed esclusivamente a 25-idrossilazione epatica bypassando lo step di attivazione renale (8).

 

Alfacalcidolo: efficacia a livello scheletrico

L’efficacia del colecalciferolo rispetto agli analoghi della vitamina D attiva nell’osteoporosi è ancora discussa (7). A causa della regolazione a feedback negativo dello step renale di attivazione, il colecalciferolo è efficace solo in pazienti con deficit vitaminico; pertanto, l’effetto terapeutico è evidente soprattutto all’inizio dell’intervento, se i pazienti presentano ipovitaminosi D (9).

Nei pazienti con livelli vitaminici normali gli analoghi della vitamina D attiva offrono maggiori possibilità di ottenere gli effetti terapeutici su ossa, muscoli e altri organi bersaglio (7).

Alfacalcidolo, profarmaco della vitamina D attiva, svolge attività terapeutica antiosteoporotica indipendentemente dallo status vitaminico D (8).

Gli analoghi della vitamina D, inoltre, sono stati sviluppati per superare i problemi associati all’utilizzo della vitamina D nativa, quali tendenza a indurre ipercalcemia, soppressione del turnover osseo e iperfosfatemia (2).

L’utilizzo di alfacalcidolo non si è associato a livelli sierici pericolosi di tale profarmaco, in quanto la vitamina D attiva si lega direttamente ai recettori degli organi bersaglio, bypassando il rene (7).

Numerosi studi clinici hanno dimostrato che alfacalcidolo ostacola l’accelerato turnover osseo nell’osteoporosi, mantiene o aumenta la BMD nelle donne in post menopausa e previene le fratture osteoporotiche del rachide e dell’anca (10).

 

Riduzione del turnover osseo nell’osteoporosi

Il trattamento con alfacalcidolo 1 μg più calcio 500 mg si è dimostrato notevolmente superiore a quello con colecalciferolo 1000 UI più calcio 500 mg in termini di incremento della massa ossea e riduzione del rischio di frattura in uno studio (Schacht et al. 2005) su 204 pazienti con osteoporosi in trattamento a lungo termine con glucocorticoidi.

Per quanto riguarda in particolare la BMD, a livello del rachide lombare alfacalcidolo ha determinato un incremento mediano del 2.4% vs una riduzione dello 0.8% (p<0.0001) osservata con colecalciferolo. A livello del collo femorale, alfacalcidolo ha fatto registrare un più elevato incremento mediano della BMD rispetto a colecalciferolo (rispettivamente,1.2% vs 0.8%; p<0.006) (7).

L’efficacia significativamente superiore di alfacalcidolo rispetto a colecalciferolo in termini di incremento della BMD è confermata dai risultati di uno studio (Ringe et al. 2013) condotto su una popolazione di soli maschi con osteoporosi (n=214), in cui i pazienti con prevalenti fratture vertebrali avevano ricevuto una volta al giorno alfacalcidolo 1 μg più calcio 500 mg e quelli senza prevalenti fratture vertebrali vitamina D 1000 UI più calcio 1000 mg. Dopo 2 anni, i pazienti del gruppo alfacalcidolo hanno mostrato un significativo incremento della BMD a livello del rachide lombare (+3.2% vs +0.8% con vitamina D) e dell’anca (+1.9% vs -0.9% con vitamina D) (Figura 2) (9).

Inoltre, in tutti gli studi che hanno preso in considerazione l’efficacia sulla perdita di massa ossea, alfacalcidolo 1 μg/die è risultato efficace e sicuro nel trattamento a lungo termine per il limitato rischio di ipercalcemia (11).

 

Figura 2. Variazioni della percentuale media della BMD durante il trattamento con alfacalcidolo o vitamina D (p<0.0001).

 

Efficacia sulla massa ossea indipendente dalla funzione renale

Alfacalcidolo aumenta la massa ossea indipendentemente dalla funzione renale, il che risulta vantaggioso in particolare negli anziani con funzione renale ridotta (10).

Riduzione delle cadute e fratture

Alfacalcidolo esercita un duplice effetto sul rischio di cadute e fratture, influenzando sia il turnover osseo sia la forza muscolare (9). Nel studio di Ringe et al. già ricordato (9) è stata osservata la riduzione delle cadute da un numero medio di precedenti cadute per paziente-anno pari a 0.24 nel gruppo alfacalcidolo e a 0.21 nel gruppo colecalciferolo, ad un numero significativamente minore con alfacalcidolo rispetto a colecalciferolo (rispettivamente, 0.09 vs 0.18; p=0.04). A due anni, nel gruppo alfacalcidolo sono state documentate 18 nuove cadute rispetto alle 38 osservate nel gruppo colecalciferolo (p=0.040). Il trattamento con alfacalcidolo, inoltre, si è associato ad un’incidenza significativamente minore di fratture vertebrali e non vertebrali rispetto a quella osservata con colecalciferolo (Figura 3).

 

Figura 3. Nuove fratture vertebrali e non vertebrali durante lo studio (tutte le fratture dopo 2 anni: 37 versus 69; p<0.003). *p=0.035; **p=0.041.

 

Una significativa riduzione, con alfacalcidolo rispetto a colecalciferolo, del rischio di fratture vertebrali (-61%) e di tutte le fratture, vertebrali e non vertebrali (-52%), è stata osservata anche nello studio precedentemente descritto di Schacht et al. (7).

 

Aumento dell’efficacia dei bifosfonati

Una metanalisi di tredici studi randomizzati controllati che hanno incluso 3710 pazienti con osteoporosi ha dimostrato che la terapia di combinazione con alendronato più alfacalcidolo è significativamente più efficace nella prevenzione delle fratture ossee rispetto alla monoterapia con alendronato (OR=0.53, 95% CI: 0.19-0.95) o alfacalcidolo (OR=0.25, 95% CI: 0.08-0.49) (12).

In uno studio recentemente pubblicato su 53 donne con osteoporosi menopausale non trattata, ibandronato (1.0 mg una volta al mese) più alfacalcidolo 1.0 μg/die) ha determinato un miglioramento più sostanziale di BMD e marker del turnover osseo rispetto alla monoterapia con ibandronato (1.0 mg una volta al mese) o con ibandronato piu alfacalcidolo, rappresentando pertanto un’efficace combinazione farmacologica (13).

 

Alfacalcidolo: efficacia a livello muscolare

In uno studio che ha valutato l’effetto di un trattamento di 6 mesi con alfacalcidolo 1 μg/die su potenza muscolare, funzione muscolare, equilibrio e paura delle cadute in 2097 pazienti anziani con ridotta massa ossea (75% affetti da osteoporosi), ridotta clearance della creatinina

(70% con CrCl <65 ml/min), l’81% dei quali con aumentato rischio di cadute, è stato dimostrato un significativo miglioramento del rendimento in due su tre test di valutazione di funzione e potenza muscolare già dopo 3 mesi di trattamento, con un ulteriore incremento dopo la fine del trattamento.  Inoltre, la percentuale di pazienti in grado di eseguire il test di valutazione dell’equilibrio (TGT) è aumentata dal 36.0% osservato al basale al 58.6% alla fine dello studio (p<0.0001) e la paura di cadere si è ridotta nel 74.4% dei pazienti (14).

I risultati di uno studio che ha valutato l’effetto aggiuntivo di alfacalcidolo (1 μg/die) sull’aumento della forza muscolare ottenuto con esercizi specifici in donne con osteoporosi menopausale, randomizzate al trattamento con bifosfonato o con bifosfonato più alfacalcidolo, con somministrazione di supplementi di calcio (200 mg/die) in entrambi i gruppi, suggeriscono che alfacalcidolo aumenta significativamente gli effetti benefici degli esercizi in pazienti di età inferiore a 68 anni (15).

È stato riportato in letteratura che il trattamento con alfacalcidolo aumenta il numero e il diametro delle fibre di tipo II, le fibre muscolari di cui nella sarcopenia si osserva la maggiore perdita.

In uno studio retrospettivo che ha valutato l’effetto di alfacalcidolo sulla massa muscolare in pazienti con osteoporosi, divisi in un gruppo trattato con l’analogo della vitamina D e un gruppo controllo non trattato, alfacalcidolo ha mantenuto la massa muscolare nei pazienti con massa muscolare normale e l’ha aumentata significativamente nei pazienti con ridotta massa muscolare. Tali risultati suggeriscono che alfacalcidolo potrebbe essere efficace nei pazienti con riduzione della massa muscolare (16).

 

Evidenze da alcune nuove applicazioni terapeutiche

  • Rene In uno studio su pazienti con nefropatia diabetica che ha confrontato l’efficacia di alfacalcidolo (0.25 μg/die per sei mesi) vs trattamento convenzionale in termini di miglioramento della funzione endoteliale microvascolare, della rigidità arteriosa e della pressione arteriosa, solo con alfacalcidolo sono stati osservati un miglioramento della pressione diastolica centrale (p=0.027) e la tendenza ad un miglioramento dell’augmentation index (p=0.063), della velocità dell’onda sfigmica (p=0.075) e della pressione sistolica (p=0.088) (17).
  • Diabete e sindrome metabolica Uno studio su 61 soggetti con DM1 insorto da meno di 8 settimane (età 8-15 anni) ha confermato che alfacalcidolo (0.25 μg/die) è in grado di preservare la funzione delle cellule beta pancreatiche in bambini e adolescenti con diabete di recente insorgenza, in particolare di sesso maschile (18).
  • Asma In uno studio che ha valutato l’effetto della somministrazione di alfacalcidolo sulla funzione polmonare in adulti con asma, randomizzati al solo trattamento standard antiasmatico o a ricevere in aggiunta alfacalcidolo 1 μ/die per 4 mesi, il trattamento con alfacalcidolo ha migliorato la funzione polmonare e ridotto la severità della malattia, indipendentemente dalla presenza di deficit vitaminico (19).
  • Sclerosi multipla I risultati di uno studio randomizzato, placebo-controllato, in cui sono stati inclusi 158 pazienti con sclerosi multipla che riferivano significativo senso di stanchezza, indicano che alfacalcidolo è una strategia di trattamento sicura ed efficace per ridurre senso di stanchezza e migliorare la qualità di vita (20).
  • Artropatia psoriasica In pazienti con artropatia psoriasica, il trattamento con alfacalcidolo (0.25 μg 2 volte al giorno per 6 mesi) ha dimostrato un effetto immunomodulatorio, indicato da una temporanea riduzione delle risposte immuni tipo 1 e da una riduzione continua dell’attività della malattia (21).
  • Ipoparatiroidismo Efficacia e sicurezza di alfacalcidolo in pazienti con ipoparatiroidismo sono state dimostrate in vari studi.  Alfacalcidolo si dimostra efficace e sicuro anche nel trattamento a lungo termine in tale condizione. In particolare, in uno studio che ha valutato l’effetto sulla funzione renale della somministrazione a lungo termine di alfacalcidolo ad un dosaggio medio di 1 μg/die (range 0.5-2.5 μg/die), un significativo effetto sul calcio sierico e urinario è stato ottenuto già nella prima settimana di trattamento ed è stato mantenuto durante un follow-up di 2040 paziente-mesi. Nel follow-up non è stata registrata alcuna modificazione dei livelli sierici di creatinina (22).

 

Conclusioni

 

Alfacalcidolo (1α-OH-D3) è un analogo sintetico della vitamina D attiva (1,25(OH)2D3 o calcitriolo) già idrossilato a livello della posizione cruciale 1α e, pertanto, bypassa lo step di attivazione renale (8).

Alfacalcidolo ostacola l’accelerato turnover osseo nell’osteoporosi, mantiene o aumenta la densità minerale ossea nelle donne in post menopausa e previene le fratture osteoporotiche del rachide e dell’anca (10).

Alfacalcidolo svolge attività terapeutica antiosteoporotica indipendentemente dallo status vitaminico D (8).

Alfacalcidolo mostra un duplice effetto su rischio di cadute e fratture, influenzando sia il turnover osseo sia la forza muscolare (9).

Alfacalcidolo aumenta potenza, funzione muscolare ed equilibrio e riduce il timore di cadute (14).

Alfacalcidolo si dimostra efficace e sicuro nel trattamento dei pazienti con ipoparatiroidismo (22).

Vari studi clinici indicano, inoltre, la possibilità di un vantaggioso impiego di alfacalcidolo anche in alcuni dei nuovi campi di applicazione terapeutica della vitamina D (17-21).

 

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