DISCUSSIONE

Il progetto formativo ha visto la partecipazione attiva di numerosi Medici di Medicina Generale spinti dal desiderio di acquisire conoscenze  utili nella gestione dei propri pazienti in terapia con NAO e di attuare un percorso di FSC disponendo del tutoraggio del Cardiologo.

 

Nel corso degli ultimi anni, infatti, la percentuale di soggetti in terapia anticoagulante orale con farmaci diversi dagli AVK sta progressivamente aumentando ed i Medici di Medicina Generale si troveranno sempre più spesso a gestire tale terapia in prima persona per varie ragioni. In primo luogo, a causa della superiorità di questi farmaci nella prevenzione delle emorragie intracraniche a fronte di un’efficacia nella prevenzione dell’ictus almeno sovrapponibile a quella del warfarin. Inoltre, la maggiore maneggevolezza nell’assunzione della terapia senza la necessità di eseguire frequenti controlli dei valori di INR, ha reso possibile l’avvio di terapia anticoagulante anche in categorie di soggetti particolarmente complessi: anziani fragili per cui il monitoraggio della terapia con AVK non è un’opzione percorribile o, viceversa, soggetti giovani desiderosi di conciliare la terapia anticoagulante con una vita attiva in piena autonomia.

La FSC gestita mediante il tutoraggio del cardiologo e attuata attraverso la compilazione del Quaderno di Attività ha permesso di avere a disposizione un numero di Osservazioni tali da ipotizzarne la raccolta ed analisi oggetto del presente elaborato.

Da un punto di vista demografico, la popolazione in esame si distacca sensibilmente da quella “selezionata” dei principali trial dei diversi NAO (RE-LY14 , ARISTOTLE15 , ROCKET-AF16 ). L’età media della popolazione in esame è infatti maggiore rispetto a quella degli studi sopracitati: l’età media/mediana dei soggetti osservati è di 77.8/78.7 anni rispetto ad un’età media/mediana di circa 70/73 anni nei diversi studi, ma in linea con la popolazione del registro italiano ATA AF (età mediana 77 anni). A causa della maggiore aspettativa di vita del sesso femminile, non è sorprendente come le donne siano rappresentate maggiormente degli uomini (50% vs 46%) mentre nei trial costituivano circa il 35-40% della popolazione totale; anche in questo caso la percentuale di donne rispecchia quella del registro ATA AF in cui era del 47%. La prevalenza di FA permanente, più spesso associata a multiple comorbidità tipiche dell’età avanzata, è molto elevata nella popolazione in esame raggiungendo il 65% di tutte le forme di FA. Questi dati si distaccano anche da quelli della popolazione dello studio osservazionale “real world” XANTUS17  in cui l’età media era di 71.5 anni, il sesso femminile costituiva il 41% della popolazione e la forma permanente dell’aritmia costituiva solo il 27% di tutti i casi di FA. Tutto ciò dipinge un quadro di una popolazione italiana la cui età media è decisamente elevata ed in cui, di conseguenza, il sesso femminile sarà sempre più rappresentato. Pertanto la prevalenza delle patologie aumenterà e fra queste anche quella della FA. Nei pazienti con FA, la sola età superiore o uguale ai 75 anni costituisce di per sé indicazione all’avvio di terapia anticoagulante orale con AVK/NAO poiché associata ad un punteggio CHA2DS2-VASc almeno pari a 2, in accordo con le attuali linee guida della Società Europea di Cardiologia. Ne consegue che il medico si troverà sempre più di frequente a dover avviare una terapia anticoagulante orale ed a gestire il follow-up di tali pazienti. Ad ulteriore riprova dell’elevata prevalenza di comorbidità e dell’alto rischio tromboembolico della popolazione studiata, è stato riscontrato un punteggio CHA2DS2-VASc medio superiore o uguale a 3 nel’88% dei soggetti mentre solo il 45% presentava un HAS-BLED superiore o uguale a 3. Nei trial sopracitati si è ricorsi al punteggio CHA2DS2 pertanto non è possibile un confronto diretto del rischio tromboembolico nelle diverse popolazioni. In ogni caso, sono stati valutati sistematicamente i punteggi CHA2DS2-VASc e HAS-BLED nella quasi totalità dei pazienti (95% dei casi): questo dato dimostra come attraverso la formazione è possibile modificare l’approccio del medico agli indicatori di rischio e trasmettere il concetto che l’indicazione all’avvio della terapia anticoagulante si basi sulla valutazione del rischio tromboembolico del singolo paziente, in conformità con le attuali linee guida europee e nordamericane e non sull’opinione del singolo medico. Ciò costituisce un grande passo avanti nella gestione dei pazienti affetti da FA cui in passato spesso è stata negata la terapia anticoagulante orale o, viceversa, nei quali è stata avviata una profilassi tromboembolica con AVK anche a fronte di un rischio di ictus trascurabile (i casi oggi classificati come "FA isolata" con CHA2DS2-VASc pari a 0).  Un altro dato significativo derivante dalla analisi delle Osservazioni è l’elevata prevalenza di pregressa ischemia cerebrale (ictus o TIA) documentata nel 30% dei soggetti in terapia anticoagulante orale in genere (NAO o AVK) a fronte di pregressi episodi emorragici di qualunque tipo solo nel 9% dei casi. L’elevata prevalenza di pregressi eventi tromboembolici deve indurre a riflettere sull’importanza della prevenzione secondaria e sul monitoraggio ed il follow-up della terapia anticoagulante orale, sia essa con AVK o con NAO. Nel caso dei pazienti in terapia con AVK, è noto come sia particolarmente complesso raggiungere valori accettabili di TTR (time in therapeutic range), pari a circa il 60-70% del totale della misurazioni. Purtroppo l’efficacia di una terapia anticoagulante è seriamente compromessa nel caso di valori di INR non in range terapeutico (2-3). Nelle schede di Osservazione, valori di INR costantemente superiori a 2  si sono osservati solo nel 43% della popolazione mentre valori stabilmente inferiori a 4 nel 55% dei casi. Inoltre, è emerso che il dosaggio dei valori di INR veniva eseguito ogni 15-30 giorni in oltre la metà dei pazienti in terapia con AVK (50%): va da sé che non è possibile conoscere l’effettiva percentuale di INR in range terapeutico nei periodi intercorrenti tra le diverse misurazioni. Accanto al controllo dei valori di INR, i Medici di Medicina Generale hanno indicato di effettuare visite periodiche con cadenza  mensile nel 58% dei pazienti in TAO con AVK, mentre nel caso dei pazienti in terapia con NAO i controlli erano effetuati prevalentemente con cadenza trimestrale o semestrale (35% e 33%,rispettivamente). La significatività statistica della differente periodicità potrebbe essere di interesse nella valutazione del tempo di assistenza necessario per i pazienti che effettuano i diversi trattamenti.

Dai dati emerge come la gestione della terapia anticoagulante con AVK da parte dei medici sia piuttosto accurata, ciononostante l’efficacia del warfarin è intrinsecamente limitata dalla sua variabilità dose-risposta intra- ed interindividuale.  Sono state riscontrate anomalie dei valori emocromocitometrici nel 17% dei casi, incremento delle transaminasi nel 10% e della creatininemia nel 32% dei pazienti in trattamento con AVK; la differenza di anomalie riscontrate nei pazienti in trattamento con NAO erano dell’8% per i valori emocromocitometrici, del 5% per le transaminasi  e del13% per la creatininemia (la significatività della differenza era raggiunta solo per la anomalia della creatininemia – p>0.001).

In questo contesto è bene ricordare che, accanto al valore assoluto di creatininemia, è sempre opportuno calcolare anche la clearance della creatinina poiché spesso in pazienti anziani e di basso peso corporeo, valori di creatinina all’interno dei range di normalità possono configurare comunque quadri di insufficienza renale anche di grado severo. Nella nostra raccolta di Osservazioni non è pertanto possibile stimare con accuratezza l’effettiva prevalenza di pazienti affetti da insufficienza renale ma probabilmente essa sarà ben superiore al 32% di pazienti con elevati valori assoluti di creatininemia. Nel caso degli AVK, è noto come l’insufficienza renale non costituisca una controindicazione, essendo farmaci caratterizzati da un metabolismo prevalentemente epatico. È opportuno invece ricordare che l’eventuale avvio di una terapia con NAO presuppone valori di clearance della creatinina (calcolata secondo la formula di Cockroft-Gault) >30 ml/min, in accordo con le attuali linee guida ESC, nonostante alcune molecole siano approvate in scheda tecnica fino a valori di clearance della creatinina di 15 ml/min.

Quest’ultimo concetto sembra ben presente nei MMG che hanno partecipato al progetto, osservando che solo per il 13% dei soggetti in NAO veniva segnalata una variazione della funzionalità renale.

 

Al momento della Osservazione, una percentuale considerevole di soggetti, pari al 64% del totale delle Osservazioni, veniva segnalata in condizioni cliniche tali per cui la terapia anticoagulante con AVK poteva non essere la scelta più efficace.

La percentuale include il 2.5% di soggetti in terapia con acido acetilsalicilico come profilassi tromboembolica alternativa all'AVK, nonostante numerose evidenze dimostrino ad oggi la sua scarsa efficacia a fronte di un rischio emorragico comparabile a quello della terapia anticoagulante orale. Sulla base di questi dati non è più possibile considerare l’acido acetilsalicilico come un’opzione nella prevenzione tromboembolica di pazienti con FA, salvo nei rari casi in cui il paziente rifiuti espressamente qualsiasi forma di terapia anticoagulante.

 

La terapia con i NAO era riportata nel 64% delle Osservazioni. Conformemente ai dati mondiali di impiego, il NAO di maggior prescrizione è  Rivaroxaban (45%), a seguire Dabigatran (31%) ed infine Apixaban (25%). L’aderenza alla terapia con NAO è stata valutata qualitativamente chiedendo al paziente di confermare o meno l’assunzione di tutte le compresse prescritte nel periodo di tempo intercorrente tra le visite di follow-up. I risultati sono stati sorprendenti arrivando al 94% di aderenza, nonostante si tratti di una valutazione meramente qualitativa. Segnaliamo che nei 6 casi di percepita non aderenza il trattamento instaurato era con NAO con duplice somministrazione giornaliera.  In virtù della farmacocinetica dei NAO, assumere correttamente il farmaco una o due volte al giorno a secondo della molecola è sufficiente a garantire un’efficace profilassi tromboembolica, a differenza dei farmaci AVK per cui l’ottenimento di un TTR elevato è condizione necessaria. Interazioni farmacologiche sfavorevoli tra NAO e altre molecole sono state segnalate solo nell’1.3% dei casi. Conformemente alle indicazioni del documento EHRA del 201518  sulla gestione della terapia con  NAO, nella maggioranza dei casi è sufficiente una riduzione della dose del NAO per evitare interazioni farmacologiche clinicamente rilevanti senza necessità di sospendere il farmaco.

Abbiamo già indicato che il controllo periodico del paziente con NAO era effettuato ogni 3 o sei mesi nel 68% dei casi  e anche questo dato indica come la gestione della terapia anticoagulante con NAO da parte dei Medici di Medicina Generale sia corretta e conforme alle indicazioni internazionali. Nel documento EHRA sopracitato si consiglia infatti di monitorare l’efficacia e la sicurezza della terapia mediante visite di controllo periodiche (la prima dopo un mese dall’avvio della terapia e successivamente ogni 3-6 mesi) in cui si valutino i seguenti fattori: compliance alla terapia, eventuali eventi tromboembolici/emorragici, effetti collaterali, terapia concomitante ed eventuale necessità di eseguire esami ematici.

 

In conformità con queste indicazioni, nel corso dei diversi incontri del progetto è stata ribadita la necessità che i centri prescrittori di NAO siano supportati nella loro attività dai Medici di Medicina Generale nel follow-up e nella gestione della terapia, a causa del crescente numero di pazienti che afferiscono a tali centri, pur rimanendo il punto di riferimento nel caso di problematiche specialistiche legate all’uso di tali farmaci. Dal canto loro, i Medici di Medicina Generale, ormai consapevoli delle modalità e delle tempistiche con cui effettuare i controlli dei pazienti in terapia con NAO, si sono dimostrati estremamente collaborativi accettando di gestire il follow-up dei pazienti nel tempo.

In questo modo si crea sul territorio una rete in cui il paziente giunge all’ambulatorio di medicina generale, viene successivamente indirizzato presso il centro NAO per la prescrizione e la compilazione del piano terapeutico del farmaco e successivamente ritorna dal Medico di Medicina Generale per la gestione ordinaria dalla terapia. Tale modello costituisce probabilmente la migliore organizzazione che si possa fornire al paziente in terapia con NAO, poiché garantisce da un lato la competenza specialistica del centro NAO e, dall’altro, la continuità assistenziale e la vicinanza proprie della medicina generale.

 

Ringraziamenti:

Ringraziamo i colleghi MMG che hanno aderito alla formazione Blended ed hanno completato il percorso di FSC; i dottori  L. Castello, G.F. Mureddu e M. Uguccioni per la revisione del lavoro

 

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N. 08/2017 - MedTOPICS - Periodico Quindicinale

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