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Linee Guida: diabete gestazionale


Il diabete gestazionale rappresenta l’alterazione metabolica più comune in gravidanza e, se non viene correttamente riconosciuto e adeguatamente trattato, si associa a un’elevata morbilità materno-fetale, legata essenzialmente all’eccessiva crescita fetale (1). Vi è da decenni un acceso dibattito sulla strategia da adottare per la diagnosi del diabete in gravidanza, che si presta bene alle considerazioni di questa Rubrica in merito alle ripercussioni giudiziarie delle Linee Guida. Infatti, in Italia a partire dal 2011, si seguono le Linee Guida Ministeriali sulla Gravidanza Fisiologica, elaborate dal Sistema Nazionale Linee Guida (SNLG), dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), dalla Associazione Medici Diabetologi (AMD) e dalla Società Italiana di Diabetologia (SID) (2,3). Esse si rifanno alle Linee Guida dell’American Diabetes Association (ADA, 2017), sostenendo i seguenti target: glicemia a digiuno ≤95 mg/dL e ad un’ora post-prandiale <130-140 mg/dL o a due ore post-prandiale <120 mg/dL. Invece, sono diversi i valori del “National Institute for Health and Care Excellence” (NICE “Diabetes in pregnancy”, 2015) per il livello di glucosio a due ore post-prandiale (120 vs 115). Ulteriori differenze si evidenziano in merito alla terapia. Secondo l’ADA il farmaco di scelta è l’insulina. Il NICE, invece, suggerisce la metformina. Il farmaco di terza scelta è il glibenclamide. Il punto più controverso, tuttavia, è relativo all’esecuzione dello screening rivolto alle gravide a seconda della stratificazione del rischio per lo sviluppo della patologia. Infatti, ripercorrendo l’evoluzione dell’introduzione dello screening, è da rilevarsi che nel 2010 l’Association of the Diabetes in Pregnancy Study Group (IADPSG) raccomandò che tutte le donne in gravidanza dovessero essere sottoposte a screening per diabete, indipendentemente dalla presenza di eventuali fattori di rischio.

Invece, mettendo a confronto le Linee Guida italiane dell’Istituto Superiore di Sanità, del NICE e dell’ADA si evidenziano talune differenze. Per le gravide a “basso rischio” non è previsto alcuno screening. A tal proposito solo l’ADA specifica i criteri di esclusione: gruppo etnico a bassa prevalenza; familiarità negativa; anamnesi ostetrica negativa per eventi sfavorevoli; anamnesi negativa per intolleranza glucidica; età materna <25 anni; normopeso. In caso di “rischio intermedio”, tutte e tre le Società Scientifiche concordano per effettuare lo screening tra 24 e 28 settimane di gestazione. Il rischio intermedio è calcolato sulla base di: obesità; macrosomia fetale pregressa; diabete in una gravidanza precedente; anamnesi familiare positiva per diabete mellito di tipo 2; etnia ad elevata prevalenza. L’ISS aggiunge tra i criteri di stratificazione del rischio l’età materna ≥35 anni. Infine, in caso di “alto rischio”, è raccomandato lo screening a 16-18 settimane secondo quanto riportato dall’ISS e/o appena possibile per le altre due Società Scientifiche. Nel 2013, il Gruppo di studio Italiano delle due Società Scientifiche diabetologiche “SID” e “AMD” su diabete e gravidanza ha strutturato un sondaggio nazionale allo scopo di descrivere il grado di diffusione e accettazione delle Linee Guida nazionali sullo screening e la diagnosi del diabete gestazionale tra i centri diabetologici italiani (4). Inoltre, uno studio del 2015 (Lacaria et al.) (5) ha mostrato che le raccomandazioni delle nuove Linee Guida nazionali erano ancora poco applicate. Infatti, contrariamente a quanto suggerito, solo una minoranza di donne ad alto rischio era sottoposta a test di screening all'inizio della gravidanza, nonostante una prevalenza del 30% della patologia per questa classe di rischio.
Pur tuttavia, a livello internazionale, l’International Federation of Gynecology and Obstetrics (FIGO) ha proposto dal 2014 (6) uno screening universale, consigliando a tutte le donne in gravidanza di essere sottoposte a screening per l’iperglicemia utilizzando una procedura one step. Tale linea, a livello internazionale è quella che si sta sempre più diffondendo, sostenendo la necessità di una procedura diagnostica universale, con alcune eccezioni riservate solo ai Paesi con meno risorse economiche. In definitiva, la scelta di quale procedura di screening e diagnosi sia più idonea rimane ancora un problema irrisolto. Ciò si ripercuote nella pratica clinica, e purtroppo anche nelle aule giudiziarie, dove ciascuno invoca quello che gli conviene. Sarebbe forse giusto accogliere lo “screening universale”, suggerito a livello internazionale? L’augurio è che, proprio in base alla Legge Gelli, si riesca al più presto a disporre di un binario certo ed inequivocabile.

Bibliografia
  1. Group HSCR, Metzger BE, Lowe LP et al. Hyperglycemia and adverse pregnancy outcomes. The New England Journal of Medicine 2008; 358(19):1991-2002.
  2. Associazione Medici Diabetologi (AMD) - Società Italiana di Diabetologia (SID). Standard italiani per la cura del diabete mellito 2018. Available from: http://www.standarditaliani.it/ Accessed September 01, 2019.
  3. Linea-guida Gravidanza fisiologica. Diagnosi del diabete gestazionale. Sistema nazionale per le linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità. Aggiornamento 2011.
  4. Pintaudi B, Fresa R, Dalfrà M et al. Level of implementation of guidelines on screening and diagnosis of gestational diabetes: A national survey. Diabetes Res Clin Pract 2016; 113:48-52.
  5. Lacaria E, Lencioni C, Russo L et al. Selective screening for GDM in Italy: application and effectiveness of National Guidelines. J Matern Fetal Neonatal Med. 2015; 28(15):1842-4.
  6. Hod M, Kapur A, Sacks DA et al. The International Federation of Gynecology and Obstetrics (FIGO) initiative on gestational diabetes mellitus: a pragmatic guide for diagnosis, management, and care. Int J Gynaecol Obstet 2015; 131:S173-211.

 



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