Compliance nel Trattamento dell’Osteoporosi con Bisfosfonati

ADERENZA, COMPLIANCE E PERSISTENZA: DEFINIZIONI
Il successo di un trattamento farmacologico è naturalmente correlato all’efficacia della molecola, oltre che ai parametri farmacologici e alla tollerabilità. Ma ci sono altri fattori che contribuiscono all’esito di una terapia. Tali fattori sono dipendenti in gran parte dal comportamento del paziente e dall’intervento del medico e sono relativi ai concetti di compliance, persistenza e aderenza alla terapia in oggetto.
I termini compliance, persistenza e aderenza sono talvolta considerati equivalenti. In realtà, pur essendo strettamente correlati, essi rappresentano fattori diversi che descrivono diversi aspetti del trattamento.

Per misurare la compliance, uno degli indici più impiegati è il cosiddetto MPR, ovvero Il Tasso di Possesso del Farmaco (MPR, Medication Possession Ratio) che è il numero di giorni complessivi in cui il paziente ha la disponibilità del farmaco (2,3).

L'MPR corrisponde in pratica alla somma dei giorni per i quali il farmaco viene fornito realmente dalla farmacia, diviso il numero di giorni di trattamento prescritti teoricamente dal medico; (4).

I dati per calcolare questo indice derivano dalle schede di erogazione del farmaco registrate dalla farmacia e dalle ricette del farmaco registrate dal medico.

Il risultato di questo calcolo viene poi rapportato a 100 ottenendo così una percentuale.

In generale si ritiene che un paziente che, ad esempio, assuma realmente ≥ 80% delle dosi farmacologiche teoricamente prescritte (ovvero MPR≥80% ) risulta essere compliante alla terapia prescritta (2).

Una buona aderenza alla terapia è data da una compliance alta (ovvero un MPR > 80% ) il che, lo ricordiamo, indica che il paziente ha assunto il trattamento prescritto (seguendo tutte le indicazioni, il numero di assunzioni, il numero di pillole ecc.) per almeno l’80% dei giorni prescritti, e dalla persistenza alla terapia (assunzione farmaco per tutto il periodo prescritto).

 

LA SCARSA ADERENZA ALLA TERAPIA: DIFFUSIONE E CAUSE DEL FENOMENO
L’aderenza alla terapia condiziona significativamente i risultati di un trattamento a lungo termine.
A questo riguardo i dati disponibili sono piuttosto negativi. Si calcola infatti che un paziente su due in terapia per una patologia cronica ha scarsa aderenza al trattamento (5) con conseguente progressione della malattia e aumento della morbilità (complicanze, ricoveri ecc.) e mortalità correlate. Inoltre dalla letteratura si evince che il 50% dei pazienti interrompe la terapia farmacologica entro i 12 mesi (Adachi 2007).

Nell’Adherence Meeting Report promosso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono stati presentati dati che attestano la scarsa aderenza terapeutica ai farmaci in generale come riportato in tabella 1 (tratta da (6))

La scarsa aderenza alla terapia può essere la conseguenza di fattori relativi sia al paziente che al medico (tabella 2).

Dalla tabella appare chiaro che il medico potrebbe avere un ruolo significativo nel migliorare l’aderenza alla terapia, innanzitutto scegliendo le prescrizioni più idonee per ogni singolo paziente, preferendo quelle con uno schema posologico più semplice e, in secondo luogo, fornendo al paziente tutte le informazioni e le spiegazioni necessarie ad illustrare i vantaggi del trattamento e i pericoli di una scarsa aderenza ad esso correlata.

 

ADERENZA E OUTCOME CLINICI DEL TRATTAMENTO DELL’OSTEOPOROSI CON BISFOSFONATI

Anche nel trattamento dell’osteoporosi la scarsa aderenza costituisce un problema rilevante. Non più di un terzo di soggetti dimostra un’aderenza appropriata (5). Anche quando l’assunzione è corretta, la persistenza in terapia è purtroppo largamente carente. Il 20% dei pazienti sospende il trattamento entro 6 mesi (figura 1) (5)


Figura 1 Persistenza sub-ottimale per le terapie anti osteoporosi

I bisfosfonati rappresentano il caposaldo del trattamento farmacologico dell’osteoporosi (8). Questa classe di farmaci è in grado di ridurre l’incidenza di fratture da osteoporosi post-menopausale (PMO) dal 20 al 45% (8).

Come in tutti trattamenti, anche nella terapia con bisfosfonati, la compliance al trattamento gioca un ruolo molto importante nel determinarne il successo.
Le donne con alti tassi di compliance (MPR≥80%) presentano rischi di frattura inferiori del 25% (2) rispetto a quelle con MPR più basso.

Anche i livelli di marcatori del turnover osseo e la risposta della BMD al trattamento migliorano con l’aumento della compliance (2)

Uno studio osservazionale di coorte condotto negli Stati Uniti (8) su un campione di più di 35.000 donne di età ≥ 45 anni trattate con bisfosfonati ha dimostrato che l’aderenza alla terapia riduce il numero di fratture a 24 mesi. Rispetto alle donne che persistono in terapia, le pazienti con ridotta compliance (basso MPR) presentano un rischio di fratture vertebrali e non vertebrali più elevato. Come è evidente dalla figura 2, il rischio di fratture rimane invariato per valori di MPR fino al 50% (0.5 nella figura,) . Il dato interessante è che tale rischio si riduce drasticamente con l’aumento della compliance, ossia per valori di MPR tra 50 % e 75% (0.5 e 0.75 nella figura) e ancora di più per MPR da 75% a 100% (0.75 a 1 nella figura).

Figura 2. Probabilità di fratture in 24 mesi in donne trattate con bisfosfonati. Il rischio di frattura si riduce drasticamente se la compliance (ovvero la disponibilità del farmaco, MPR= Medication Possession Ratio) è elevata.

Un’elevata aderenza al trattamento permette dunque di ridurre significativamente la morbilità correlata con l’osteoporosi.
Purtroppo, nella pratica clinica si assiste sovente ad un fenomeno di bassa compliance per questo tipo di trattamento, con conseguenze negative in termini di efficacia terapeutica (per es. comparsa di fratture, invalidità ecc.).

Una review sistematica che ha esaminato quindici studi, per un totale di 704134 pazienti (per la maggior parte donne in menopausa in trattamento con bisfosfonati) ha confermato che sia la persistenza che la compliance per il trattamento sono subottimali e ciò determina un aumento del rischio di fratture (9).

Un altro studio retrospettivo condotto a Liegi in Belgio (10) su un’ampia popolazione di donne in trattamento con bisfosfonato ha riportato un basso tasso di persistenza in terapia a 12 mesi, pari a 39.45% .

 

I FATTORI CHE INFLUENZANO L’ADERENZA E LA PERSISTENZA NELLA TERAPIA DELL’OSTEOPOROSI CON BISFOSFONATI

Una survey condotta in Inghilterra qualche anno fa (11) ha studiato i fattori correlati all’aderenza e alla persistenza nel trattamento con bisfosfonati, in un campione di più di 500 donne ultracinquantenni.

Circa metà delle donne studiate in trattamento con bisfosfonati con somministrazione giornaliera o settimanale non assumeva il farmaco seguendo le indicazioni prescritte (aderenza = 48%). In realtà l’indagine non identifica precisi fattori che influenzano la non-aderenza alla terapia, tuttavia risulta che le pazienti con precedenti fatture presentano un’aderenza maggiore.

Uno dei fattori associati alla non aderenza al trattamento sembra essere legato alle difficoltà pratiche nell’assunzione del bisfosfonato, in particolare alla percezione che i dosaggi siano troppo frequenti, che si debbano assumere troppe pillole. Un altro fattore che scoraggia l’aderenza è la difficoltà ad includere la terapia nella routine quotidiana.

Interessanti anche i risultati di un altro studio condotto l’anno scorso (12) negli Stati Uniti, che individua altri fattori critici per l’aderenza alla terapia dell’osteoporosi.

La scarsa conoscenza della malattia (della sua gravità e delle conseguenze cliniche), l’insoddisfazione per la qualità della visita medica, gli effetti collaterali e la difficoltà o incapacità di ricordare tutte le istruzioni relative all’assunzione dei farmaci, sono i fattori segnalati dal paziente che interferiscono con l’aderenza alla terapia (8). I medici segnalano la scarsa informazione da parte del paziente, le barriere strutturali, gli effetti collaterali e l’impossibilità di “tracciare” l’aderenza del paziente.

IL RUOLO DELLA RIDUZIONE DELLA FREQUENZA DI SOMMINISTRAZIONE NEL MIGLIORARE LA COMPLIANCE E LA PERSISTENZA IN TERAPIA CON BISFOSFONATI

I bisfosfonati sono i farmaci anti riassorbitivi più potenti tra quelli disponibili. Tuttavia il trattamento con questa classe di composti talora risulta piuttosto “impegnativo” e ciò può impattare negativamente sulla persistenza a lungo termine in terapia.

In particolare i bisfosfonati orali devono essere assunti secondo le rigide raccomandazioni delle linee guida allo scopo di ottenere il massimo effetto e minimizzare i rischi di eventi avversi (ad es. gastrointestinali) (14).

• Le pazienti non possono assumere cibi o bevande dai 30 ai 60 minuti prima di prendere il farmaco.
• La dose deve essere assunta solo con acqua.
• E’ inoltre necessario che le pazienti rimangano in piedi per circa 30 minuti dopo la somministrazione

Se queste raccomandazioni non vengono seguite alla lettera i bisfosfonati sono scarsamente assorbiti e questo si traduce nella non efficacia del farmaco.

I dati di farmacocinetica e i dati teorici relativi al rimodellamento osseo permettono di prevedere che la somministrazione giornaliera e quella settimanale avranno efficacia similare a condizione che le dosi cumulative siano equivalenti.

Secondo altri dati, sembra che la somministrazione mensile di un bisfosfonato sia superiore in termini di incremento della BMD lombare.

La somministrazione settimanale dei bisfosfonati è una pratica molto comune. In effetti il protocollo di somministrazione settimanale ha aumentato la probabilità che la paziente persista in terapia, riducendo la necessità di rispettare tutte le regole e le raccomandazioni relative al dosaggio ad una sola seduta settimanale (14).

Diverse esperienze dimostrano che il passaggio dall’assunzione giornaliera a quella settimanale di bisfosfonati comporta un significativo aumento della compliance (di circa 15-15% di MPR) (figura 3) (5)

Figura 5. La riduzione della frequenza di somministrazione aumenta la compliance nel trattamento con bisfosfonati

A dimostrazione dell’importanza della frequenza di somministrazione nella genesi dei risultati, uno studio pubblicato di recente da Muratore e coll ha confrontato due regimi di somministrazione intramuscolare dello stesso bisfosfonato (100 mg settimanali e 200 mg bisettimanali di clodronato). Le donne trattate (n=60) sono state seguite per 12 mesi. Al termine di questo follow-up i due protocolli hanno riportato risultati simili in termini di efficacia (incremento della BMD lombare e femorale, riduzione di marker di riassorbimento, riduzione del dolore) (figura 4). A confermare questi dati è stato uno studio successivo condotto da Frediani e coll. e pubblicato nel 2011, che ha analizzato gli effetti sulla BMD di clodronato 100 mg una volta a settimana rispetto a 200 mg ogni 2 settimane in una popolazione di 60 donne di età compresa fra 50 e 80 anni, affette da osteoporosi post-menopausale. Lo studio ha dimostrato che l’aumento della BMD lombare rispetto al basale risultava significativo per entrambi i gruppi di trattamento sia a uno sia a due anni. La BMD del collo femorale aumentava in entrambi i gruppi, ma mentre per
il gruppo 100 mg raggiungeva la significatività statistica rispetto al basale già al primo anno, per il gruppo trattato con 200 mg ogni 2 settimane l’incremento raggiungeva una significatività statistica solo al secondo anno.

Figura 4. Variazioni della BMD lombare e femorale dopo 1 anno e dopo 2 anni di trattamento con clodronato 100 mg a settimana e 200 mg ogni 2 settimane (Modificato da Frediani 2011)

Dopo aver dimostrato che iniezioni del farmaco più diluite nel tempo con un dosaggio diverso (ma equivalente) danno pari efficacia, un dato interessante è quello relativo all’aderenza alla terapia:

nello studio condotto da Muratore e coll., 6 pazienti trattate con lo schema a somministrazione più frequente (settimanale) hanno interrotto l’assunzione del farmaco. Nessuna paziente del gruppo a somministrazione bisettimanale ha interrotto il trattamento.

Il lavoro dimostra che le iniezioni più diluite nel tempo mantengono l’efficacia e la sicurezza del clodronato e si traducono in un aumento della persistenza in terapia.

Risulta quindi evidente che la somministrazione meno frequente di bisfosfonati migliora la compliance e la persistenza in terapia e che le pazienti preferiscono in genere tali somministrazioni meno frequenti.

Naturalmente nella somministrazioni più distanziate diventa ancora più importante la compliance per la terapia, in quanto saltare una somministrazione bisettimanale di bisfosfonato avrà conseguenze terapeutiche più significative che non saltare una somministrazione settimanale o giornaliera del farmaco. (14).

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

• La riduzione della frequenza di dosaggi di bisfosfonato produce miglioramenti incrementali della compliance e della persistenza in terapia (14).

• La convenienza di dosaggi meno frequenti potrebbe essere di particolare vantaggio per le pazienti in menopausa, di età relativamente giovane, che sono ancora impegnate dal punto di vista lavorativo o che comunque hanno uno stile di vita più attivo (14).

• Per di più , anche la compliance delle pazienti più anziane con osteoporosi (che spesso presentano molteplici comorbilità con conseguente politerapia) viene incrementata sostanzialmente dalla ridotta frequenza di dosaggi (14)

• Il legame particolare che si instaura tra le pazienti e il medico di famiglia ( o il ginecologo o un altro specialista) promuove la comunicazione e la fiducia in relazione alle scelte che medico e pazienti insieme attuano ai fini del corretto approccio al trattamento (14).

• Dal momento che questi medici hanno con la paziente un rapporto consolidato nel tempo, essi svolgono un ruolo critico nella prevenzione e nel trattamento di patologie quali l’osteoporosi e delle sue complicanze invalidanti. Assicurando un regolare trattamento e un regolare follow-up, questi medici possono avere un impatto decisivo sulla salute a sulla qualità di vita a lungo termine delle loro pazienti.

 

BIBLIOGRAFIA:

1) Bertoldi I. Frediani B. Clodronato: ieri, oggi e domani – GIBIS Vol XIII – n 2 – Marzo 2012)
2) Papaioannu A. et al. Drugs Aging 2007; 24 (1): 37-55
3) Santi I et al. G Gerontol 2010;58:110-116
4) (Eakin MN J Cyst Fibros. 2011 July ; 10(4): 258–264).
5) Bianchi G. osteoporosi.it - NUMERO 1 – 2007
6) Miselli V. G It Diabetol Metab 2011;31:121-124
7) Sabate E 2001 WHO
8) Siris E.S. et al. Mayo Clin Proc. 2006;81(8):1013-1022
9) Imaz I. et al. Osteoporos Int (2010) 21:1943–1951
10) Rabenda V et al. Osteoporos Int (2008) 19:811–818
11) Karr A J et al Osteoporos lnt (2006) 17:1638-1644
12) Iver en M et al, J Geriatr Phys Ther. 2011 ; 34(2): 72–81
13) Lau E. et al. Can Fam Physician 2008;54:394-402
14) Emkey RD, Ettinger M. The American Journal of Medicine (2006) Vol 119 (4A), 18S-24S

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