Lorenzo Castello, Alessandro Aiello, Furio Colivicchi.
UOC Cardiologia, Ospedale San Filippo Neri, ASL RM1
L’avvento dei farmaci anticoagulanti diretti (anche definiti “nuovi anticoagulanti orali” o NAO), ha aperto nuovi orizzonti terapeutici nella gestione della fibrillazione atriale, soprattutto in particolari categorie di pazienti particolarmente esposte a rischio di complicanze emorragiche. Fra di esse spicca per numerosità la popolazione di pazienti fragili. La fragilità è una condizione clinica caratterizzata da una ridotta capacità funzionale, espressione di un accelerato invecchiamento, ed è storicamente definita, secondo la Fried Scale, da almeno tre dei seguenti criteri: cammino a ridotta velocità, debolezza muscolare agli arti superiori, marcata riduzione dell’attività fisica, perdita di peso non intenzionale, facile faticabilità e senso di debolezza1 (Tabella 1).
È opportuno sottolineare come in questa definizione non ci siano riferimenti all’età anagrafica del paziente, sebbene le condizioni cliniche elencate siano spesso caratteristiche della popolazione anziana. Inoltre, l’età è associata positivamente con la fragilità. È noto che gli anziani fragili presentano un rischio di eventi tromboembolici maggiore rispetto al resto della popolazione eppure la prescrizione di terapia anticoagulante orale risulta inferiore in questi soggetti. Studi clinici suggeriscono che gli anziani fragili con fibrillazione atriale hanno una probabilità da 2 a 8 volte inferiore di ricevere terapia anticoagulante rispetto alla controparte non fragile1,2. Come spiegare allora questo apparente paradosso terapeutico?
Il principale fattore che può indurre il clinico a non prescrivere terapia anticoagulante è il timore di emorragie clinicamente significative, siano esse spontanee o secondarie a traumi o a cadute a terra.
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Accanto a questi dati, un’analisi per sottogruppi dello studio ROCKET-AF sui pazienti anziani ha dimostrato come il rischio di emorragie maggiori, ma non quello di emorragie cerebrali, sia invece più elevato nei pazienti di età superiore o uguale ai 75 anni, in assenza tuttavia di una differenza statisticamente significativa tra il gruppo trattato con warfarin e quello in terapia con rivaroxaban6.
Pertanto, nella scelta se iniziare o meno una terapia anticoagulante orale, al clinico è richiesto di non sottovalutare il rischio emorragico individuale, senza tuttavia dimenticare l’elevato rischio di eventi ischemici cerebrali di questi pazienti. L’avvento degli anticoagulanti diretti ha ulteriormente facilitato le scelte del clinico. Dai dati della letteratura emerge infatti una più bassa incidenza sia di ictus che di emorragie maggiori nei pazienti trattati con NAO come classe rispetto a warfarin3 (Tabella 2).
Questo dato fornisce il razionale a sostegno della scelta di un NAO, qualora vi sia indicazione ad avvio di una terapia anticoagulante orale nel paziente anziano fragile. Tale indicazione è stata anche formalizzata dalle recenti Linee Guida sulla fibrillazione atriale: qualora sussista indicazione a terapia anticoagulante orale in un paziente eleggibile a terapia con anticoagulanti diretti, si raccomanda l’uso di un NAO rispetto agli antagonisti della vitamina K (indicazione di classe I, livello di evidenza A)7.
Tuttavia, non sono disponibili al momento dati relativi all’efficacia e alla sicurezza della terapia anticoagulante orale, sia essa con warfarin o con NAO, nella popolazione di anziani fragili, poiché tali soggetti non sono stati reclutati né nei grandi trial randomizzanti né nei successivi studi "in the real world". Ciononostante, dai diversi trial emergono dati interessanti relativi alle popolazioni in esame, che in alcuni casi presentavano caratteristiche molto simili a quelle del paziente fragile ad elevato rischio ischemico ed emorragico: ad esempio, la popolazione dello studio ROCKET-AF trattata con rivaroxaban presentava un CHADS2 score medio elevato (pari a 3,5) ed è ben nota la correlazione tra tale punteggio e le multiple comorbidità che caratterizzano il paziente fragile. I dati positivi derivanti da questi lavori dovrebbero pertanto facilitare la scelta del clinico di avviare una terapia anticoagulante, preferendo i NAO al warfarin.
Tuttavia, è opportuno considerare alcuni aspetti peculiari del paziente fragile nel prescrivere un farmaco anticoagulante diretto.
In primo luogo, bisogna considerare i parametri di funzionalità renale e l’elevato rischio di insufficienza renale cui è esposto l’anziano fragile. Si ricorda come per valori di creatinina clearance < 30 ml/min sia preferibile non utilizzare NAO a causa della scarsità di dati riguardo l’efficacia e la sicurezza; tali pazienti, infatti, non sono stati inclusi nei principali trial clinici che hanno messo a confronto warfarin e NAO (cfr. “I NAO nel paziente affetto da FA ed insufficienza renale”, MedTopics on line).
Il paziente fragile è inoltre esposto ad una maggiore incidenza di effetti avversi ai farmaci legati a interazioni farmacologiche sfavorevoli, e ciò potrebbe costituire motivo di interruzione della terapia anticoagulante. Anche l’aspettativa di vita deve essere presa in considerazione nella scelta riguardo l’eventuale avvio di una terapia anticoagulante orale; il beneficio netto in termini di sopravvivenza libera da malattia può infatti essere ridotto o persino annullato in presenza di una aspettativa di vita particolarmente limitata. Inoltre, non da ultimo, uno dei principali timori legati alla terapia anticoagulante nell’anziano fragile è il rischio delle eventuali complicanze emorragiche correlate alle cadute a terra. Tuttavia, già nel 1999 fu dimostrato come un soggetto in terapia con warfarin dovrebbe cadere circa 295 volte in un anno prima che il rischio di complicanze emorragiche cerebrali legate alla terapia anticoagulante superi il suo beneficio8. Inoltre, è stato dimostrato come pazienti in terapia anticoagulante orale considerati ad elevato rischio di cadute non presentassero un rischio di emorragie maggiori più elevato rispetto al gruppo a basso rischio9. La propensione alla caduta del paziente non dovrebbe pertanto costituire un fattore decisivo nella scelta di avviare o meno una terapia anticoagulante orale.
Appare evidente pertanto come nella scelta di avviare una terapia anticoagulante con un NAO la sola età anagrafica non è sufficiente. Si è visto infatti che la valutazione della fragilità ha contribuito a definire meglio la prognosi ed il rischio di tali pazienti anche se al momento non disponiamo di dati diretti sulla efficacia e la sicurezza dei NAO nel soggetto anziano fragile. Questa scarsità di evidenze in letteratura può forse spiegare il paradosso terapeutico cui si è fatto riferimento precedentemente. Tuttavia, è bene tener presente i dati derivanti dai quattro trial clinici randomizzati che hanno confrontato warfarin con NAO, seppur in popolazioni di pazienti ben selezionati. Una metanalisi del 2014, che ha visto tra gli altri anche la partecipazione di Eugene Braunwald, ha confrontato i dati di efficacia e sicurezza dei quattro NAO rispetto a warfarin nell’ambito della fibrillazione atriale11: i NAO presentano un profilo di rischio-beneficio favorevole con riduzione significativa di ictus, emorragia intracranica e mortalità, con un tasso di emorragie maggiori simile a quello osservato con warfarin, ma con un aumentato rischio di emorragie gastrointestinali. Nel sottogruppo di pazienti ultrasettantacinquenni è stato confermato il beneficio dei NAO in termini di riduzione del tasso di ictus e di embolia sistemica mentre, riguardo le emorragie maggiori, i nuovi anticoagulanti hanno dimostrato un trend favorevole ma non statisticamente significativo rispetto a warfarin.
Nel contesto clinico dell’embolia polmonare e della trombosi venosa profonda si è notato che l’uso di rivaroxaban nel paziente fragile (definito in presenza di almeno uno dei seguenti criteri: età maggiore di 75 anni, creatinina clearance < 50 ml/min, peso corporeo inferiore o uguale a 50 kg) è associato ad una significativa riduzione dell’incidenza di emorragie maggiori rispetto al gruppo di pazienti trattati con anti-vitamina K o con enoxaparina12. Lo stesso beneficio in termini di riduzione delle emorragie maggiori è stato riscontrato anche in soggetti con sola età maggiore o uguale a 75 anni13.
Per concludere, seppur al momento non disponiamo di dati relativi all’efficacia ed alla sicurezza della terapia con NAO nei pazienti fragili con fibrillazione atriale, le evidenze a nostra disposizione, per quanto derivanti da analisi per sottogruppi, suggeriscono un profilo di efficacia e sicurezza favorevole nel soggetto fragile.
Nella scelta se avviare o meno una terapia con NAO appare ragionevole valutare se il beneficio clinico netto della terapia anticoagulante prevalga sul potenziale rischio emorragico nei singoli pazienti, in base ai suggerimenti sopra riportati.
Studi clinici ad hoc sul paziente fragile saranno utili in futuro per fornire dati statisticamente significativi riguardo l’efficacia e la sicurezza dei NAO in tale contesto clinico.
N. 1/2018 - MedTOPICS - Periodico Quindicinale
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